Si diceva ieri che c'è modo e modo per raccontare la storia di un serial killer.
C'è quello morboso, concentrandosi sulla sua attività, sulle vittime, il modus operandi mostrando macabre scoperte, e c'è un punto di vista diverso con cui raccontare la sua storia, mettendo da parte quei delitti, quei dettagli.
Così prometteva di fare Ted Bundy - Il Fascino del Male, titolo che già di per sé gioca sul macabro visto che l'originale Extremely Wicked, Shockingly Evil and Vile non avrebbe portato la giusta attenzione in Italia.
Prometteva, si diceva, e in parte fa, perché se è vero che i dettagli inquietanti e angoscianti con cui Bundy uccideva le sue vittime sono lasciate fuori per buona parte del film, il punto di vista diverso che dovrebbe raccontarci di quest'uomo estremamente affascinante e seducente in realtà non c'è. Liz Kendall, fidanzata e compagna per quasi 10 anni di Ted, doveva essere quel punto di vista, ma viene presto oscurata dall'ingombrante ego del compagno, che porta l'attenzione sulla sua vita in carcere, le sue fughe, il suo processo-show.
Liz finisce relegata in un angolo, ad affrontare una gogna tutta personale che la porta all'alcolismo e alla depressione.
Ma partiamo dai fatti, così incredibili, così eccessivi, da meritare l'attenzione della stampa prima e del cinema poi.
Partiamo da un Ted Bundy che sembra il compagno perfetto, pieno di attenzioni e passione, a un passo dalla laurea in legge.
Tutto crolla quando viene arrestato e accusato di rapimento e violenza finendo poi al centro di un ciclone interstatale per innumerevoli sparizioni e omicidi. Il suo nome sembra quello a cui addossare tutti i casi di ragazze scomparse e violentate degli ultimi anni, in un raggio di azione che coinvolge 5 Stati americani.
Ma è davvero Ted il colpevole? Lui, intelligente e affascinante, che continua a professarsi innocente, a difendersi da solo e a dirsi vittima di un complotto?
O è un astuto criminale, quel genio folle che fa tremare le donne ma allo stesso tempo le attrae?
Se non si conosce la storia, il dubbio può rimanere in piedi.
Se la si conosce, si resta esterrefatti di fronte a un processo a favore di telecamere in cui quel colpevole è il miglior attore.
Mi si dirà, questa è la storia, ma il film?
Il film purtroppo non gioca bene le sue carte.
Né quelle di un punto di vista diverso né quelle di seminare dubbi di innocenza -per quanto cadano poi nel finale.
Onestamente, supportando la prova di un Zac Efron anche troppo bello e di Lily Collins (penalizzata da un doppiaggio irritante -grazie ancora proiezionista che non hai messo la versione v.o. al mio cinema), non capisco la scelta di questo come protagonista visto che la somiglianza non c'è, e nemmeno quella di John Malkovich con il giudice Cowart. Più marcata solo quella di Kaya Scodelario, anche se dietro quegli occhiali potrebbe esserci stata Anya Taylor-Joy per me.
Andandosene pure le carte degli attori, resta quella di una sceneggiatura che cerca con un ritmo serrato e quasi divertito di raccontare anni di carcere, fughe e processi, ma nel finale, in quel confronto a due che doveva essere al centro del tutto, tutto scade in frasi piene di retorica e buonismo.
Il fascino del male è sempre lì, pronto a chiamare a sé.
Ma se davvero vuole funzionare, la sua voce deve essere diversa.
Voto: ☕☕½/5
Pensavo di vederlo a breve, però mi hai un po' "ucciso" l'entusiasmo. :)
RispondiEliminaA me l'hanno ucciso il doppiaggio e il finale. Il ritmo è di quelli sostenuti e il protagonista è folle al punto di conquistarti facilmente, ma la gestione del tutto poco a poco scricchiola.
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