27 agosto 2019

Mindhunter - Stagione 2

Mondo Serial

La prima stagione non mi aveva convinto.
Non poteva, visto come ero cresciuta a pane e crime, in un vortice di strano interesse verso serial killer e loro investigatori.
Come catturare la mia intenzione se lo stesso termine serial killer non era stato ancora coniato? Se la lentezza la faceva da padrona e il protagonista -Holden Ford- non sprigionava certo simpatia dai suoi pori perfetti, solo tanto egocentrismo e saccenteria?
Così, a questa seconda stagione salutata con entusiasmo dai più, mi sono approcciata con calma. Aspettandomi più emozione, un coinvolgimento maggiore ora che l'unità di analisi comportamentale maturava e guadagnava fiducia agli occhi dell'FBI.
Ma diciamolo subito: così non è stato.



Ci si è provato, e ci si è riusciti, ad aumentare il ritmo, a rendere più scorrevoli gli episodi. Ma a rimettercene è stata la struttura della sceneggiatura stessa. Che sviluppa temi e storylines per poi abbandonarle in fretta, che inserisce pezzi di puzzle per poi lasciarli lì, in sospeso.
Colpa del caso Atlanta Child Murders, che da semplice fatto collaterale, diventa indagine a pieno regime in cui come sempre Ford si impunta, viene ripreso, si impunta di nuovo.
A favore di appostamenti, interrogatori e pedinamenti, ci si dimentica di quelle interviste che erano e sono per me il cuore di Mindhunter. Ci si dimentica di come quelle interviste, scritte in modo meraviglioso, sono l'asticella alta della serie. Ma se pure Charles Manson che sembrava l'obiettivo da raggiungere, viene silurato in pochi minuti, come pretendere di avere di più?
Per non parlare della  vita privata di Wendy Carr, interessante fin là, in cui l'intensa Anna Torv poco può finendo messa da parte nelle ultime puntate.


Per fortuna, se il caso di Atlanta appare così inverosimile pur essendo tragicamente reale, un'altra vita privata si fa centro d'interesse: quella di Bill Tench e del suo problematico figlio, con dubbi, insinuazioni, paure che fanno del personaggio di Holt McCallany quello più a tutto tondo, quello con cui simpatizzare visto che Jonathan Groff si impegna nuovamente per rimanere fra le mie antipatie e le supposizione sul finale della scorsa stagione sono state disattese.
Non tutto è da buttare, chiariamo, in questa stagione.
Il margine di miglioramento c'è, e quello di crescita pure.
David Fincher con la sua cura maniacale nella resa di ambienti e personaggi si fa sentire, e resta innegabile la qualità del tutto.
Ma per essere davvero una serie-fenomeno, un cult da osannare ce ne vuole ancora.


Voto: ☕☕½/5

1 commento:

  1. Pensa che la prima la avevo abbandonata dopo il pilot, noiosissimo. Non fa per me, e me lo confermi.

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