19 settembre 2023

The Night Logan Woke Up

Mondo Serial

The Night Logan Woke Up o La nuit où Laurier Gaudreault s'est réveillé.
O semplicemente, la miniserie di Xavier Dolan che risultava introvabile, impossibile da vedere e che lo ha portato a una crisi lavorativa con le cosiddette "dichiarazioni shock!" in cui si diceva stanco di dover combattere per farsi produrre un progetto che in pochi poi vedranno.
Ci ha tranquillizzato, ha messo le dichiarazioni nel loro contesto, una pausa se la prenderà pur amando stare sui set.
Godiamocela allora, questa sua miniserie ora che si trova.
Questo lungo film che Dolan scrive (adattandolo dalla pièce teatrale di Michel Marc Bouchard), dirige, monta e pure interpreta.


Apparentemente siamo sempre lì.
Siamo in una famiglia disfunzionale.
Siamo con una figliol prodiga che torna a casa.
E siamo al capezzale di una madre ingombrante, importante pure, per quella contea canadese di cui voleva essere il sindaco.
Un sogno messo da parte nella notte in cui Logan si è svegliato.
O Laurier.
La scelta di cambiare nomi ai personaggi nella versione inglese non la capisco.
Dicevo, Logan si è svegliato, ma prima di capire come e perché, cosa ha spinto i due fratelli maggiori di casa Larouche a non parlarsi e non sopportarsi per 15 anni, cosa ha spinto Julien a bere, a cercare il sesso facile, a voler comunque dimostrarsi l'uomo perfetto e Mimi a cercare un sesso più estremo, ad allontanarsi dalla famiglia e a tornare solo ora per rispettare le volontà di una madre che la vuole in qualità di tanatologa per farsi imbalsamare.


Poi ci sono i piccoli di casa, Dennis che con il divorzio accumula caos che cerca esternamente di tenere a bada, e Elliot trascinato pure lui nel circolo delle dipendenze, che esce dal rehab per l'estremo saluto. Forse troppo presto, con forse troppo da gestire.
Li vedi, questi fratelli alla deriva, scontrarsi e affrontarsi, vedere fantasmi che sorridono e fanno paura e poco a poco svelare il grande segreto che li tiene uniti e separati allo stesso tempo.
In continui flashback che centellinano indizi, in una risoluzione meno ad effetto ma non per questo meno forte che si collega a tutta la filmografia di Dolan, in È solo la fine del mondo, in particolare.
Sarà per la famiglia disfunzionale, sarà per il figliol prodigo, sarà per il grande segreto e l'origine teatrale del testo.


Se l'originalità di una trama che non smetterà di generare drammi urlati e urlanti pesa un po', c'è Dolan a fare la differenza.
Non solo come interprete, sporcandosi, ferendosi e facendo del corpo una spiegazione delle ansie del suo personaggio, pur venendo superato a destra da un'intensa Julie Le Breton, un inquietante Patrick Hivon e ovviamente dalla solita ingombrante (in senso buono) Anne Dorval, madre putativa.
Ma soprattutto a livello di regia e di montaggio.
Con quest'ultimo che dà voce alla miniserie, che gli dà quello stile particolare, sporco e grezzo, intimo e pruriginoso, sentendosi proprio come Mimi, che entra nelle case degli altri in piena notte, studia i vicini, gli amici, la famiglia, non riuscendo a dormire.
È nel suo campo, Dolan, e pur prendendosi più tempo per raccontare più notti, non si snatura né lo perde quel tempo, riuscendo così a creare attimi di bellezza in mezzo a quella sporcizia, attimi di poesia in mezzo al pruriginoso, non dimenticando i suoi momenti canori, anche se le canzoni rimangono meno conosciute.
Fedele a se stesso e alle storie che più lo emozionano, anche se riesce ad arrivare a pochi, Xavier Dolan arriva sempre.

Voto: ☕☕½/5

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