10 settembre 2015

Venezia 72 - La Calle de la Amargura


In questo Festival si sta nuovamente compiendo un giro attorno al mondo dei luoghi più tristi e desolati. A una Istanbul degradata, a una Roma di periferia, a un Tibet di baracche e a una Caracas di strada, si può ora aggiungere anche un Messico e la sua viuzza dell'amarezza.
Qui si muovono i protagonisti desolanti già fisicamente: due prostitute ormai anziane che non riescono a richiamare i clienti, e una coppia di gemelli affetti da nanismo, famosi wrestler.
Il loro destino si incrocia nella notte della vittoria di quest'ultimi in un incontro, e la richiesta di spassarsela insieme in un hotel a ore.
Prima di arrivare al loro incontro, però, li seguiamo in una giornata non certo positiva: le due donne devono reinventarsi, la prima lo fa mandando la madre ormai inferma e demente, a mendicare, la seconda cercando di accettare quel marito che ha scoperto essere gay. Mentre i nani litigano con moglie e famiglia, con un ambiente che li vede più come barzellette che come veri campioni, le due si fermano a comprare un liquido per gli occhi che già in passato le ha aiutate a stordire i loro clienti il tempo necessario per derubarli e fuggire: il loro piano è questo anche per la sera, rifarsi di giornate amare, di una vita che non sembra più avere gusto.
Qualcosa però andrà storto, la dose eccessiva, o la dose non adatta al fisico minuto degli uomini, li ucciderà, e loro saranno ricercate e indagate dalla polizia.
Arturo Ripstein mostra il suo Messico degradato e degradante, sporco e marcio, come la vita dei suoi protagonisti, alla ricerca di un riscatto che per nessuno di loro sarà possibile. Girato in un bianco e nero che fa sentire se possibile ancor più lo sporco e la tristezza di questa Calle, quella che poteva essere una commedia nera, è in realtà un dramma che pesa qua e là, il cui ritmo si dilata troppo, appesantendolo.
Un fuori concorso che vive del nome di un regista mito del suo Paese, ma che qui da noi diventa piuttosto evitabile.

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