La Grecia della crisi non è certamente in crisi cinematograficamente parlando.
Negli ultimi ha incanalato la sua rabbia, la sua frustrazione per realizzare film che definire inquietanti è dir poco, violenti senza bisogno di mostrare troppo sangue, capaci di mettere a repentaglio le basi, le radici, della loro cultura, della loro nazione.
A partire dalla famiglia che sia in Dogtooth che in Miss Violence sono divorate dal loro interno, rappresentate in uno schema nuovo, che ne cambia completamente la struttura, anche del linguaggio.
All'ultimo Festival di Venezia, poi, in Interruption venivano smosse le fondamenta di altri due solide basi greche: il teatro, il mito.
Syllas Tzoumerkas non è diverso dai suoi colleghi, e concentra il suo obiettivo su un'altra famiglia disfunzionale, ma senza bisogno di metafore ci immergerà nella crisi, nella mancanza di denaro, nei debiti che si accumulano e che mostrano tutte le crepe che negli anni si erano dall'apparenza tenute nascoste.
Ci racconta tutto questo con un montaggio che va indietro e avanti nel tempo, spiazzando e creando confusione, chiedendo allo spettatore un'attenzione che, lo si deve ammettere, qualche volta cala.
La storia di Maria, figlia volitiva di una coppia dove la madre è paralizzata nella vita come nel lavoro, dove il padre è un'inerme che non prende posizione, nella vita come nel lavoro, e che portano così il piccolo negozio di famiglia al fallimento, all'inabissarsi nei debiti.
Completa il quadro una sorella non troppo intelligente, che si unisce in matrimonio a un uomo inquietante, nazista e forse non solo.
Maria si ribella a tutto questo, alle convenzioni, anche, trovando in Yannis il suo uomo, un capitano che se ne sta per mesi in mare, la cui relazione è passionale a livelli totalizzanti. Una relazione basata e nata con il sesso, dove il sesso è la vera parte, che ossessiona Maria, che cerca nuove ispirazioni, nuove soddisfazioni anche altrove, anche davanti lo schermo del computer.
Il regista non ci risparmia niente della loro relazione, e così quel montaggio già difficile da incasellare si riempie di scene esplicite, ad ogni nuovo avanzamento, ad ogni nuova rivelazione, i loro corpi, nudi che si uniscono e si tradiscono.
Esagerazione? Provocazione fine a se stessa?
In parte viene da pensarla così, soprattutto perchè queste scene e questo tema finiscono per oscurare quelli più significativi, quelli di un suicidio, ad esempio, o di un monologo, di una confessione in cui Maria non ha paura della realtà, del giudizio, delle conseguenze.
E Aggeliki Papoulia è immensa nell'interpretarla.
Il racconto è chiaramente volto ad esplodere, accumulando momenti di tensione che si fanno sempre più forti, e che portano ad un finale che è anche un po' un inizio, in cui però si resta piuttosto frastornati.
La durata minima di 83 minuti sembra quella necessaria per condensare e non disperdersi, invece Tzoumerkas si perde, si ripete, stanca e anche annoia.
Ed è un peccato perchè il film che mette in piedi è distante da quello dei suoi colleghi, è più vero, più immerso nel reale, anche a livello tecnico, con la macchina da presa che si muove, che segue ed insegue, ma davanti al risultato finale, se ne resta delusi, preferendo metafore dai quadri fissi.
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