21 luglio 2020

I May Destroy You

Mondo Serial

Michaela Coel è la nuova Phoebe Waller-Bridge che era già la nuova Lena Dunham inglese.
Così, almeno, dicono.
Lo dicono perché entrambe hanno un passato da stand-up comedy e ora sono esplose con una comedy che comedy non è del tutto in TV, perché non hanno peli sulla lingua nel parlare della loro vita sentimentale e sessuale, e lo dicono per il modo diretto che hanno nel parlare di se stesse e quindi dei problemi della loro generazione.
Quella dei (quasi) trentenni, che non sanno che fare, che non hanno ancora trovato il loro posto nel mondo, il ruolo da mantenere, il partner con cui stare.
La famiglia?
Meglio gli amici.
Ma in Fleabag Phoebe mostrava tutto questo con un tocco ironico decisamente irripetibile.


Michaela Coel è invece Michaela Coel, e va più in profondità nel parlare ai tempi del #MeToo di stupro e di violenze.
Lei che vittima lo è stata davvero, ci fa conoscere la non facile Arabella, star di twitter prima, romanziera per caso venerata da quelli della sua generazione esasperata, ora in crisi con il fantomatico secondo romanzo che prevede pure un contratto da rispettare ed editori stanchi di aspettare.
Arabella sperpera l'anticipo mantenendo gli amici in cerca di fortuna come attrici o in voli verso Roma, o meglio, Ostia, dove ha conosciuto Biagio, professione spacciatore.
Li sperpera in droghe e in feste, esagera e non se ne pente.
Finché una notte, rimasta sola, torna a casa con un livido, con la memoria azzerata.
Brevi flash, un'orribile sensazione e la certezza poco a poco di essere stata stuprata.



Arabella si trova a dover far fronte ad un trauma e alla burocrazia della denuncia, ma lo fa non come ci si aspetta.
E quel "ci" comprende me, e comprende come la società ci ha sempre mostrato le vittime.
Arabella continua a far festa, ma si chiude in se stessa, si sfoga sui social diventando dipendente dall'accettazione che lì trova, monopolizza i suoi amici senza rendersi conto delle loro ferite, inganna editor e manager, scopre che lo stupro non è solo uno, comprende più varianti, subdole e spesso non denunciate.
Si sente attaccare da quella fiamma romana, si sente in trappola e giudicata, si sente una paladina dei diritti femminili e si sente portavoce delle vittime. Ma si sente anche colpevole e ipocrita e una farsa e senza idee, senza soldi, senza supporto.
La vediamo, insomma, vera.
E questo comporta faticare a stare dalla sua parte, lo ammetto, a dare pure a lei un briciolo di colpa sentendosi delle persone orribili nel farlo.
Rimettendo così in discussione certi preconcetti, certe idee dure da far morire se così si è cresciuti.
Facendo di I may destroy you una serie quanto mai necessaria.


Eccessiva e spudorata, fuori e dentro, con outfit colorati sempre diversi, Arabella e Michaela non sono però le sole al centro dell'attenzione.
Perché I may destroy you è una serie corale, in cui trovano posto la sesso-dipendenza da app, le violenze subite dagli uomini molto più difficili da denunciare, quelle subite in famiglia con le cicatrici che comportano, quelle su abbordaggi che in un attimo fanno sentire delle vittime e di amicizie che hanno segreti.
Si parla di razzismo, di omofobia, di transfobia.
Si aprono, insomma, gli occhi.
Il tutto in una Londra vivibile e non turistica, in un'Ostia non certo da cartolina con la colonna sonora che spazia da Nicky Minaj a Daft Punk a Ghali. Sì, Ghali.
Il tutto con colori acidi, con scene potenti nell'iconografia e nella fotografia che sembrano riprendere quanto già visto in Euphoria, ma con qualche anno di più.
Si procede avanti e indietro nel tempo, si procede con piccoli flash di quella violenza con cui cercare di convivere, si procede fino ad arrivare ad un finale che non si sa come può essere.
E infatti, non lo sa pure Michaela Coel, che mostra il processo di scrittura in atto, ci mostra non uno, non due, ma tre, quattro finali possibili.
Come a dirci e a ribadirci che non c'è e non ci deve essere un solo modo per parlare di vittime e di violenze. Che la vendetta, il perdono, la semplice accettazione dei fatti sono facce di una stessa medaglia, di una stessa storia che non è mai la stessa.


Voto: ☕☕½/5

4 commenti:

  1. Ultimamente sto leggendo e vedendo pochissimo. Sempre così, quando la famiglia si riunisce, uff. Però questa serie ha alta priorità!

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    1. In crisi anch'io per un eccesso di socialità imprevista, ma la brevità degli episodi e la loro bellezza hanno aiutato a farne una piccola maratona.
      La si odia e la si ama Arabella.

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  2. Serie esplosiva e in fin dei conti ben poco comedy. Forse più dalle parti di Lena Dunham che di Phoebe Waller-Bridge, ma alla fine come dici tu Michaela Coel è Michaela Coel.

    Nel finale forse si brucia quello che poteva essere lo spunto di partenza di una stagione 2, ma i britannici sono così. Non sono come gli americani che sembrano sempre pensare alla stagione successiva, piuttosto che a quella in corso. :)

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    1. A una seconda stagione non avevo pensato, funziona ed è bellissima così com'è anche per quel finale impossibile che giustamente non si poteva trovare.

      Ora non mi resta che recuperare tutta Chewing Gum, la mancanza di nuovi titoli aiuta.

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