Venerato, amato, copiato e misterioso.
Caposaldo della letteratura americana e frutto di sapiente lavoro di editor.
Carver lo aspettavo da un po' sul mio comodino.
Lo avevo scoperto un pomeriggio di chissà quanto tempo fa, a lavoro, con la radio sintonizzata per problemi tecnici non sulla musica, ma su RadioRai3 ad ascoltare Ad alta voce.
Parte la voce piuttosto fastidiosa alle mie orecchie di Ernesto Goio, parte e legge un racconto di Carver.
Lo interpreta, in realtà.
E io dal lavoro mi estraneo, entro dentro questa storia, questa vita americana fatta di case perfette, spazi infiniti e famiglie che perfette in realtà non sono.
Ma la storia resta lì, a metà, e io il giorno dopo a lavoro non ci sono, il finale lo perdo.
C'ho provato qualche tempo fa a ritrovare quel racconto, ascoltando come ho raccontato in podcast su RaiPlay, resistendo per un po' finché alla voce di Goio sono capitolata.
Basta.
Carver me lo leggo da sola, mi sono detta.
Poche raccolte di racconti le sue (sette in tutto), ma ovviamente anche tanti rimaneggiamenti.
Come questo America Oggi che racchiude al suo interno quei racconti che Robert Altman ha preso e adattato per il suo film omonimo.
Il solo tratto finora dai suoi racconti.
Il film -visto anche questo chissà quanto tempo fa- neanche lo sapevo partisse dagli scritti di Carver.
Ricordo poco, ricordo il finale, ricordo di aver scoperto un regista che come me amava la coralità.
Quindi arrivo a questi racconti vergine, in una raccolta che al suo interno contiene prefazioni, interviste, recensioni e saggi.
Tutte di firme autorevoli, da Altman stesso, alla vedova Tess Gallagher, fino a Francesco Piccolo.
Ma Carver?
Com'è, letto da sola?
È come te lo aspetti, come l'ho sempre immaginato.
Se dovessi prendere un'immagine, sarebbe quella di un quadro di Edward Hopper.
La stessa malinconia, la stessa solidità, la stessa America fatta di cittadine, di famigliole, di disperati, ritratti nel buio di luci al neon.
Le sue storie vanno a scavare nelle famiglie borghesi, in quei quartieri residenziali tutti uguali ma così diversi.
Sembrano non raccontare niente, ma la sensazione è che dicano tutto.
Sogni proibiti, impulsi repressi, il marcio che c'è sotto ogni maschera.
Ci sono vicini che scoprono il benessere che c'è nella porta accanto (Vicini), ci sono mariti opprimenti che giudicano la moglie con gli occhi altrui, quelli dei clienti della tavola calda in cui lavora (Loro non sono mica tuo marito).
Ci sono amanti che si rivelano peggiori della moglie stessa (Vitamine), ci sono tradimenti che incrinano la perfezione che si credeva di avere (Vuoi star zitta, per favore?).
Ci sono cani che diventano un simbolo di ribellione, di caduta totale (Jerry, Molly e Sam).
E ci sono poi tinte nere, nerissime, nascoste dietro a pulitrici di moquette (Creditori) o approcci viscidi di una domenica pomeriggio, senza bisogno di spiegare, di dire, di rilevare troppo (Di' alle donne che andiamo).
Basta il ritmo, quelle stese omissioni a far capire la situazione macabra che si si sta presentando.
E poi ci sono quei racconti diversi, che li senti che sono più importanti.
C'è Una cosa piccola ma buona che racconta l'irraccontabile: l'ansia, il dolore, lo spaesamento di due genitori che assistono il figlio morente all'ospedale mentre vengono tempestati da telefonate di chi avrebbe ragione, senza però conoscere la situazione che questa famiglia sta vivendo. Con una vendetta che non diventa tale grazie a un piccolo gesto, ma buono.
C'è Limonata, che sempre di un figlio che non c'è più racconta, cercando di trovare l'origine che ha causato quell'incidente che si poteva evitare, in una poesia brevissima ma quanto mai intensa.
E infine ho finalmente ritrovato lui: Con tanta di quell'acqua a due passi da casa, quel racconto sentito chissà quanto tempo fa per radio, di cui finalmente leggo la fine.
Di una moglie che racconta dell'uscita di suo marito con gli amici a pesca.
Un'uscita di tre giorni, lontano da casa, così lontano che quando trovano in riva al fiume il corpo di una ragazza, nudo, decidono di aspettare, cosa cambierebbe?
La ragazza è morta, loro hanno fatto tanta strada.
Si può aspettare.
Si può pescare, si può bere, si può dormire.
E solo quando il weekend è finito, tornarsene a casa, avvisare lo sceriffo.
Come divertirsi con una ragazza morta, nuda, nell'acqua lì a pochi passi?
Come tornare e non dirlo subito alla propria moglie?
Come fare finta di niente, non dare peso alla cosa?
Con tanta di quell'acqua a due passi da casa viene raccontato da quella moglie che non capisce, che si allontana, che vede finalmente il marito sotto una nuova luce, quella vera.
Sono piccoli momenti, sono gesti e decisioni, quelli che rendono la vita di queste famiglie apparentemente perfette, diverse.
Tutti sentono che qualcosa manca, tutti si sentono prigionieri.
E i racconti, tutti, partono già avvertendo di questi piccoli momenti che tutto cambieranno, portando ad aspettarli mentre si contestualizza, mentre si parla d'altro.
La si sente, quella crepa, farsi sempre più evidente.
L'America di oggi e di ieri non sembra diversa, alla ricerca di un sogno che non si può realizzare, di incubi in cui cercare di continuare a vivere.
Carver, in questa raccolta non ufficiale ma curatissima, ne esce come quello scrittore a cui basta poco per tratteggiare i suoi personaggi, e con quel poco rivelare così tanto da far male.
Un autore che purtroppo manca anche a me. Devo recuperarlo, assolutamente, ma non so da dove iniziare!
RispondiEliminaLe raccolte ufficiali sono poche, io avevo questa sugli scaffali da troppo tempo ma chissà perché non era mai suo momento.
EliminaHo appena letto il racconto "con tanta di quell'acqua a due passi da casa". Che amarezza... Come può una donna vivere con un uomo così? È proprio vero non ci si conosce mai veramente neanche dopo tanti anni.
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