Australia: terra di libertà e di speranze.
Meta distante ed agognata, terra in cui galeotti e immigrati sono riusciti a farcela.
Una volta, forse.
Oggi?
Oggi resta la meta da sogno per molti, giovani compresi che lì vanno a lavorare in farm e per campi senza grossi problemi, ma che resta preclusa a chi scappa da una guerra.
Senza visto, senza passaporto l'Australia diventa una meta impossibile.
Perché sì, l'immigrazione arriva pure lì, dopo giorni di mare, dopo naufragi letali, dopo che i risparmi di una vita finiscono in acqua.
I centri d'accoglienza sulla carta sono per l'appunto di accoglienza, non di reclusione. Chi è lì in attesa di essere sentito e accettato (o rispedito a casa) deve essere trattato con ogni diritto, nel rispetto della sua cultura e della sua religione, con attività ricreative, di integrazione e formazione a sostenerlo.
Ripeto: questo sulla carta.
Nella realtà i campi diventano delle prigioni senza sapere quanto sarà lunga la pena di chi ci finisce.
Chi i campi li gestisce, sottoposto a stress, turni massacranti e non formato a sufficienza, può diventare tranquillamente il peggiore dei carcerieri.
Succede alla nuova direttrice del Barton, Clare, che subisce pressioni dall'alto e dal basso e cala subito la mano forte incurante delle conseguenze, succede a Cam, che per mantenere la famiglia sempre più numerosa e caotica accetta di fare il "secondino".
Dal cuore fin troppo buono e tenero, non ci metterà troppo a scoprire tutte le mele marce fra i suoi colleghi, come Barton ti possa cambiare.
La loro vicenda si intreccia a quella di Ameer e di Farid (le voci di chi in quei campi perde anni di vita), che divisi o senza la loro famiglia aspettano, e aspettano e aspettano.
Una risposta, un visto, la speranza di poter rimanere lì, in un'Australia dalle terre sconfinate che però non sembra trovare lo spazio per loro.
E poi c'è Sofie, lei che australiana lo è davvero, ma lei che vessata da una famiglia che non capisce le sue scelte (il lavoro prima di tutto, nessun marito in vista) trova dapprima rifugio in quei gruppi di empowerment simili ad una setta, che le fanno un lavaggio del cervello, che la sfruttano, la umiliano e ne abusano prima di abbandonarla.
Scappa e scappa ancora, si finge tedesca, Sofie che ora è Eva.
Vuole raggiungere la Germania e una nuova vita, con flash di quel passato dei suoi traumi che chiusa a Barton si fanno sempre più insostenibili.
Ed è a lei che inevitabilmente si guarda, lei che ha le belle fattezze di una sempre più brava Yvonne Strahovski e che fanno capire il razzismo insito nel nostro sguardo, nelle produzioni in generale.
Perché abbiamo bisogno del volto bianco, della donna bionda e bellissima, per provare interesse, per seguire una serie TV che infatti snocciola solo poco a poco il suo passato.
Passano quasi in secondo piano i traumi di Ameer, di sua figlia Mina, di chi è scappata dalla Siria e dalle sue violenze.
Ma se Cate Blanchett e il resto dei produttori hanno inserito il personaggio di Sofie/Eva è perché la l'arte imita davvero la realtà.
Partendo dalla storia vera di Cornelia Rau, giovane australiana rinchiusa per errore in un centro di accoglienza che ha portato scandalo all'interno dell'intero sistema, con il governo chiamato a rivederne il funzionamento.
Non per questo in meglio.
Ispirate a storie vere sono anche tutte le altre vicende, anche se probabilmente si drammatizza un filo troppo, si calca la mano nei cambiamenti dei personaggi in modo frettoloso.
Con i "cattivi" che si trasformano in fetta, dalle motivazioni spicce e a tratti illogiche.
Si cerca poi la strada più pop e cool nel mostrare le allucinazioni musical di Eva, ma stridono, così come stridono i ruoli che la Blanchett e il solito faccia da sberle di Dominic West si ritagliano.
La sensazione è che Stateless sia un grido politico necessario, a mostrare una soluzione australiana non encomiabile e probabilmente tristemente simile alla nostra, ma che sia un grido rivolto a noi occidentali, a noi che senza una Strahovski e una Blanchett in cartellone non ci saremmo avvicinati alla serie.
Ed è triste pensarlo, rendersene conto.
Voto: ☕☕½/5
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