Mi sento sempre in colpa nei confronti dei film italiani, che poco ricerco, che frettolosamente etichetto.
Ho cercato di rimediare con i titoli più chiacchierati del periodo:
La Stranezza
Il film in costume
È stato il caso cinematografico della stagione: un film di per sé piccolo, classico, che però arriva al cuore.
Arriva agli italiani, soprattutto, attirati dalla presenza di Toni Servillo, forse, o dei sorprendenti Ficarra e Picone, anche.
Stuzzicati dal parlare di Pirandello, chissà, e dalla messa in scena siciliana, magari.
Incuriositi, poi, dalla teatralità del tutto.
Perché a teatro siamo, anche se dentro in cinema.
Con uno spettacolo da allestire e uno da pensare, con tutti i retroscena che scorrono dietro le quinte, gli intrallazzi e gli amori che sbocciano.
I protagonisti, sono due becchini, pardon, due funzionari delle pompe funebri, alle prese con un copione difficile da realizzare, in bilico tra dramma e commedia com'è, ancor di più se i boss del Paese sponsorizzano le parti, se il lutto ci mette lo zampino azzoppando la protagonista.
Ad osservare tutto, un Pirandello in crisi creativa, tormentato dai suoi personaggi in cerca di una parte, e pure nostalgico nei confronti di una Sicilia corrotta che ha lasciato per Roma, che sente il fuoco dell'arte, spia le prove e scopre gli altarini, usandoli poi a suo piacimento.
O forse no.
Forse Roberto Andò come il suo Pirandello, lascia vagare l'immaginazione pensando a un prima e a un'ispirazione, creando un'opera nell'opera prima di arrivare nella capitale.
Di certo, compone un film che proprio come pensato dalla Compagnia Filodrammatica Siciliana Principato e Vella, sta in bilico tra dramma e commedia, mescolando attori e livelli.
Caso riuscito di film popolare con gusto.
Nostalgia
Il Film sulla Camorra
Ritornare a Napoli, dopo l'esilio volontario in Egitto.
Tornare e riconoscere tutto, pur sentendosi straniero.
Riconoscere a fatica quella madre, che di un figlio si è privata, e anche della luce.
Riconoscere un quartiere dove la camorra comanda, riconoscere nei giovani le tentazioni della vita violenta.
E sentirsi un marchio sulla schiena: quello di chi è fuggito, quello di chi ha un conto in sospeso con il passato, con chi è rimasto.
Mario Martone ci mostra un altro pezzo di Napoli, di Rione Sanità, con gli occhi di chi torna ed è straniero allo stesso tempo.
Mostrando le bellezze nascoste, ma anche le brutture alla luce del sole.
E come può andare a finire, un film in cui dal minuto uno dicono al protagonista di tornarsene a casa, di non farsi tentare, che c'è chi lo aspetta, se le minacce non smettono?
Come tristemente ci si aspetta.
Purtroppo.
“La conoscenza è nella Nostalgia. Chi non si è perso, non ne possiede”, dice Pasolini, e il film si muove bene e mostra bene la Napoli non da cartolina, ma si incarta in una certa ripetitività, in un Favino che ormai fa il solito Favino silenzioso e serio, portando ad un finale tra il prevedibile e lo stanco.
Ci rappresenterà agli Oscar in tutta la sua poca originalità e in uno spessore che non gli ritrovo, e dubito riuscirà ad inserirsi nella cinquina finale.
Esterno Notte
Il Film Politico
Marco Bellocchio torna sui suoi passi.
Come un assassino, torna lì dove il dente duole.
Torna, insomma, a parlare del Caso Moro, quel rapimento che aveva ricostruito e immaginato diverso in Buongiorno, Notte ormai vent'anni fa.
Approfondisce, torna in quella Roma del 1978, e decide di spezzare i punti di vista.
Lo fa in modo che il suo film sia fruibile anche in TV, diviso in sei episodi dedicati ognuno ad un personaggio.
Dal Primo Ministro Cossiga ai terroristi con crisi di coscienza, da Moro stesso alla moglie Eleonora, fino al Papa, si aggiunge volta per volta un pezzetto di storia personale e d'Italia che arricchisce e rende più approfondito il racconto.
Che continua a fare male, nel sacrificio che rappresenta, continua ad impressionare, chi una crisi politica così non l'ha vissuta, continua a far indignare mentre si mostrano altarini e politici che come colonna sonora sottolinea, sono macchiette.
Bellocchio non perdona, e gioca con i suoi personaggi supportati da ottimi attori anche se, tra una Margherita Buy ansiosa anche in lutto e un Toni Servillo meno incisivo, è Fabrizio Gifuni a impressionare, nella sua trasformazione vocale e di gesti, con le mani di Moro a parlare come le sue parole.
Chissà se ora Bellocchio può dirsi soddisfatto, se la sua ossessiona per un caso che ha cambiato questo Paese si esaurisce qui.
Di certo si può dire che messo da parte il lieto fine fiabesco del film, qui la realtà entra in scena come una disillusione.
Una maturazione, si potrebbe dire.
Una presa di coscienza di quelle tristemente appassionanti.
Io Sono l'Abisso
Il Thriller
Credo di aver involontariamente sviluppato una certa antipatia verso Donato Carrisi.
Mi rendo quindi conto che il mio giudizio nei suoi confronti è falsato, ma ancora una volta mi è sembrato che dietro una buona storia, o meglio davanti, ci sia un ego molto ingombrante di chi vo' fa' l'americano.
L'inizio al buio, con una voce fuori campo che dichiara quanti serial killer possono essere all'attivo in Italia, già fa alzare gli occhi al cielo.
Poi si parte, e si mescolano le carte, tra serial killer inquietanti che sentono voci, detective ossessionate e giovani ragazzine che si salvano e che si interrogano.
C'è il Lago di Como, ma la bellezza non sembra di casa tra ville fatiscenti e appartamenti umidi.
E c'è soprattutto questa solidità che si ricerca in ogni scena, in ogni piccolo indizio o raccordo con il passato che finisce invece per sembrare pesante.
Il finale rende tutto più chiaro un solo fatto: che certi thriller su carta patinata funzionano bene sotto l'ombrellone, ma resi immagine, resi sceneggiatura, mostrano tutti i macchinosi raccordi che ci stanno dietro, perdendo così il gancio.
E se l'interesse manca, se il pathos sembra artefatto, se il colpo di scena non sorprende, l'operazione può dirsi non riuscita.
I buoni thriller italiani restano una mosca bianca.
Voto: ☕☕/5
Di questi io ho visto (e gradito molto) solo La Stranezza.
RispondiElimina