15 dicembre 2023

Palazzina LAF

Andiamo al Cinema

Nell'anno dei grandi esordi nel cinema italiano, c'è anche quello di Michele Riondino.
Da sempre in bilico fra titoli commerciali e piccoli film di nicchia, non può che esordire con una storia che conosce bene, che fa parte della sua famiglia, della sua terra.
Quella dell'Ilva di Taranto.
Un'azienda che è una nazione a sé, un mondo che ha nascosto per anni la sua polvere e contro cui Riondino assieme ad altri artisti, si batte da anni.
Il padre, lo zio, lì hanno lavorato.
La Taranto in cui è cresciuto si divide fra chi ci lavora, chi ci è morto, chi la respira.
Ne racconta allora una piccola parte.
Un reparto, quello dentro la Palazzina LAF, che è solo un esempio di come i diritti e la legge potevano venire dimenticati passato il badge ai tornelli.


Ce la racconta attraverso lo sguardo di Caterino, personaggio inventato che è però l'esempio per cui niente è cambiato per anni: fa comodo intascare soldi e sentirsi importanti, fa comodo avere piccoli premi, e così spiare i colleghi non diventa un problema.
Caterino viene mandato in quella palazzina di lavativi, quelli che entrano scortati dai gendarmi, quelli che prendono la paga senza alzare un dito.
In realtà, sono quelli confinati perché d'intralcio, perché dentro il sindacato, perché pronti a lottare. Finiscono lì per "esubero", in un mobbing fatto di giornate vuote, visite a sorpresa del grande capo, confische di ogni bene ricreativo e proposte tutt'altro che allettanti per tornare a lavorare reparti di cui non hanno le competenze.
Sono umiliazioni, sono ricatti.
E quello che per Caterino è un paradiso, (essere pagato, e bene, per non fare niente), diventa un inferno popolato di fantasmi che perdono la ragione e che a causa delle sue soffiate non riescono a cambiare la situazione.


Viene da immaginarselo pesante un film che parla di lavoro e  di soprusi sul lavoro. Di una tragedia italiana come quella dell'Ilva che ancora oggi riempie i giornali.
Invece, Riondino la rende per quanto possibile leggera, si camuffa e si distorce nei panni di un uomo unto fin dai capelli, consegna a Elio Germano il ruolo dell'untore, del grande capo che si crede al disopra della legge e che tutto compra con i soldi, e racconta una storia che conosce, partendo dai racconti, dai fatti, ricamando il giusto.
Sentirlo parlare, in uno dei tanti appuntamenti in sala, è come parlare con un sindacalista, con un figlio, un padre, che quei posti li conosce bene e non poteva che partire da lì, da una Taranto fuori Taranto (che infatti, come città che sta rinascendo, mai si vede).


Il lavoro del montaggio aiuta, anzi, migliora il tutto rendendolo ritmato e veloce, facendo leva sulla colonna sonora composta da Teho Teardo con Diodato a farsi uomo da titoli di coda con la sua La mia terra, sui titoli di coda ovviamente.
Certo, capisco, usciti dal lavoro non si ha voglia di ritrovarcelo su grande schermo con tutte le sue brutture, ma Palazzina LAF riesce a fare salire la speranza in mezzo alla rabbia, a farsi denuncia in mezzo ai ricatti.
E di questo si ha sempre bisogno.

Voto: ☕☕/5

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