1 dicembre 2023

The Old Oak

Andiamo al Cinema

Ci vuole della semplicità per fare una rivoluzione.
Ci vuole del cibo, semplice.
Una stanza, una tavola, un tetto sopra la testa.
Troppo?
A volte sembra di sì, perché quel che manca è la voglia di rischiare, di mettersi in gioco, di aprirsi, semplicemente.
Agli altri, al diverso, alle novità.
Che succede se in una comunità che si è vista via via impoverita e lasciata allo sbando, iniziano ad arrivare gli immigrati? Se quelle case lasciate vuote da chi ha cercato fortuna altrove, vengono donate a chi non ha più nulla perché scappato dalla guerra?
Ci si divide, ovvio.


Tra chi cerca di aiutare, come può, e di capire.
E chi non capisce com'è che vengano aiutati degli stranieri, dei diversi, e non loro, per primi.
È una storia vecchia come il mondo, purtroppo.
E succede anche a Durham.
Con l'Old Oak, il pub del paese, conteso tra chi vorrebbe organizzarci una incontro di protesta contro questi nuovi arrivati e chi invece vorrebbe organizzare pranzi aperti a tutti, per sentirsi di nuovo uniti, per creare comunità.
Sono due mondi che non possono incontrarsi, nemmeno davanti a una birra o a un'amicizia lunga una vita.
Con internet a fomentare gli animi, le posizioni nette che non si vogliono abbandonare.


Ken Loach racconta tutto questo con la lucidità e con la speranza di un regista da sempre in lotta.
Un regista che da sempre dà voce agli ultimi.
E lo fa anche a 87 anni, lo fa anche con quello che probabilmente sarà il suo ultimo film.
Gli si perdona quindi una sceneggiatura in parte didascalica, fatta di episodi, di racconti, di parole. Gli si perdonano anche dei personaggi non a tutto tondo, che si raccontano troppo e si mostrano troppo poco, con le parole a prendere il posto dei semplici gesti e le riflessioni sul mondo e lo stato di cose magari non naturali, ma comunque efficaci.
Glielo si perdona, perché certi messaggi è meglio sottolinearli il più possibile, una certa idea di mondo, ribadirla ancora una volta.
Così il destino dei minatori in sciopero e quello dei rifugiati siriani si incontra in una desolazione deprimente dove la povertà non fa differenza, ma dove l'umanità può farsi vedere.
Ballantyne e Yara, barista lui, fotografa lei, diventano i protagonisti di un'amicizia che è una scusa per parlare di tutto questo, per argomentare e far aprire gli occhi, ammesso che a vedere un film di Ken Loach non sia il pubblico di Ken Loach, quello che con lui è già d'accordo.
Si passa di lutto in lutto, di scontro in scontro, di presa di coscienza e di caduta, a volte in modo poco naturale, altre in modo così sentito che trattenere le lacrime diventa impossibile.


Immersi in quartieri degradati, in pub che cadono a pezzi o in spiagge tristemente affascinanti, un regista di quasi 90 anni ha ancora la forza di aprirci gli occhi, di non cedere e di continuare la sua lotta verso un mondo migliore.
Se davvero ci lascerà con questo messaggio e con un briciolo di speranza a velarci gli occhi, non gli si poteva chiedere altro.
Grazie, Ken.

Voto: ☕☕/5

2 commenti:

  1. Credo di essermi commosso persino più del dovuto guardando questo film :)

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    1. Non dirlo a me, fortuna che in sala mi contengo ma il solo fazzoletto a disposizione è finito zuppo. Grazie, Ken.

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