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Una madre scompare e la figlia viene accudita dalla zia.
Vivevano già insieme e insieme sono complici in furti e furtarelli, in una vita fatta di espedienti che i servizi sociali non possono assecondare.
La ragazza, 13 anni, viene affidata al nonno e alla sua nuova moglie, che poco l'hanno vista, che poco la conoscono.
Il problema, fra i tanti, sta nell'appartenenza.
Perché zia e nipote vivono e fanno parte della Seneca-Cayuga Nation, .
I nonni adottivi sono invece bianchi, con quel nonno/padre che se n'è andato alla morte della prima moglie abbandonando le figlie a un destino precario e in parte già segnato.
Come tante riserve, il lavoro non c'è, l'alcool e la droga abbondano e non sono molte le speranze che ritorni a casa, quella madre e quella sorella scomparsa, professione spogliarellista.
La zia, allora, decide per una fuga che è anche un rapimento.
Direzione Powwow, raduno con balli rituali con cui commemorare chi non c'è più, sancire le unioni di famiglia e cercare di tenersi stretta più che può la nipote.
Parte come un giallo, Fanny Dance, e prosegue come un road movie dove ogni scelta è più sbagliata di quella precedente, tra furti, confronti, scontri e l'FBI al seguito.
Le cose ci mettono poco a degenerare e a prendere pieghe sempre più drammatiche.
Ma ci sono sprazzi, in questa vita allo sbando e in questa fuga poco pianificata, che portano il sorriso.
Sono i momenti in cui una zia si fa "piccola madre", celebrando l'entrata nel mondo delle donne, cercando di proteggere da una verità dolorosa e scomoda chi non ha ancora perso la speranza.
Non è la prima volta che viene facile sostenere che l'ondata woke che ha colpito Hollywood, dando finalmente spazio a voci che prima era difficile sentire o che venissero raccontate da altri.
Le condizioni dei nativi americani, le cui tradizioni, il cui malessere continua, sta trovando in Lily Gladstone il volto a cui appoggiarsi.
Forte di una candidatura agli Oscar che ha permesso alla regista Erica Tremblay di vendere meglio il suo film d'esordio, è il suo volto, contrito, arrabbiato, preoccupato ma anche rassicurante e sorridente verso una nipote che cerca di proteggere pur facendole del male, il punto di forza di un film in cui non è facile provare simpatia per le scelte sbagliate compiute una dopo l'altra dai vari personaggi.
Di fondo, c'è un'indagine su una scomparsa che racconta di morti violente e fughe in una comunità provata, cosa che anche la serie Reservation Dogs ha fatto con molta più leggerezza.
Qui i toni restano seri e seriosi, e pur nella sua brevità, nella luce rappresentata da Isabel DeRoy-Olson/Roki nella sua crescita e nella fine dell'innocenza, l'interesse spesso cala.
A metà tra un giallo e un road movie, il finale finto speranzoso non lo solleva da un rapporto che poteva essere approfondito in modo migliore, un viaggio che poteva essere davvero indimenticabile.
Voto: ☕☕½/5
Penso che salterò. Oltretutto lei mi piace davvero poco.
RispondiEliminaLei ha una faccia che buca lo schermo, e vista in 3 ruoli non troppo diversi tra loro riesce a brillare lo stesso. La aspetto in futuro in qualcosa di diverso, però.
EliminaI film sugli zii sono sempre troppo pochi, quindi quasi quasi gli darò una possibilità. Anche perché dopo Under the Bridge mi sono affezionato a Lily Gladstone, più che per il soporifero Killers of the Flower Moon :)
RispondiEliminaQui la trovi in un ruolo che è un mix fra i due, sempre con il broncio, con il sorriso da zia che buca... qualcosa di più me lo aspettavo, però.
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