3 luglio 2024

Fancy Dance

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Una madre scompare e la figlia viene accudita dalla zia.
Vivevano già insieme e insieme sono complici in furti e furtarelli, in una vita fatta di espedienti che i servizi sociali non possono assecondare. 
La ragazza, 13 anni, viene affidata al nonno e alla sua nuova moglie, che poco l'hanno vista, che poco la conoscono.
Il problema, fra i tanti, sta nell'appartenenza.
Perché zia e nipote vivono e fanno parte della Seneca-Cayuga Nation, .
I nonni adottivi sono invece bianchi, con quel nonno/padre che se n'è andato alla morte della prima moglie abbandonando le figlie a un destino precario e in parte già segnato.


Come tante riserve, il lavoro non c'è, l'alcool e la droga abbondano e non sono molte le speranze che ritorni a casa, quella madre e quella sorella scomparsa, professione spogliarellista.
La zia, allora, decide per una fuga che è anche un rapimento.
Direzione Powwow, raduno con balli rituali con cui commemorare chi non c'è più, sancire le unioni di famiglia e cercare di tenersi stretta più che può la nipote.
Parte come un giallo, Fanny Dance, e prosegue come un road movie dove ogni scelta è più sbagliata di quella precedente, tra furti, confronti, scontri e l'FBI al seguito.
Le cose ci mettono poco a degenerare e a prendere pieghe sempre più drammatiche.
Ma ci sono sprazzi, in questa vita allo sbando e in questa fuga poco pianificata, che portano il sorriso.
Sono i momenti in cui una zia si fa "piccola madre", celebrando l'entrata nel mondo delle donne, cercando di proteggere da una verità dolorosa e scomoda chi non ha ancora perso la speranza.


Non è la prima volta che viene facile sostenere che l'ondata woke che ha colpito Hollywood, dando finalmente spazio a voci che prima era difficile sentire o che venissero raccontate da altri.
Le condizioni dei nativi americani, le cui tradizioni, il cui malessere continua, sta trovando in Lily Gladstone il volto a cui appoggiarsi.
Forte di una candidatura agli Oscar che ha permesso alla regista Erica Tremblay di vendere meglio il suo film d'esordio, è il suo volto, contrito, arrabbiato, preoccupato ma anche rassicurante e sorridente verso una nipote che cerca di proteggere pur facendole del male, il punto di forza di un film in cui non è facile provare simpatia per le scelte sbagliate compiute una dopo l'altra dai vari personaggi.
Di fondo, c'è un'indagine su una scomparsa che racconta di morti violente e fughe in una comunità provata, cosa che anche la serie Reservation Dogs ha fatto con molta più leggerezza.


Qui i toni restano seri e seriosi, e pur nella sua brevità, nella luce rappresentata da Isabel DeRoy-Olson/Roki nella sua crescita e nella fine dell'innocenza, l'interesse spesso cala.
A metà tra un giallo e un road movie, il finale finto speranzoso non lo solleva da un rapporto che poteva essere approfondito in modo migliore, un viaggio che poteva essere davvero indimenticabile.

Voto: ☕☕½/5

4 commenti:

  1. Penso che salterò. Oltretutto lei mi piace davvero poco.

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    1. Lei ha una faccia che buca lo schermo, e vista in 3 ruoli non troppo diversi tra loro riesce a brillare lo stesso. La aspetto in futuro in qualcosa di diverso, però.

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  2. I film sugli zii sono sempre troppo pochi, quindi quasi quasi gli darò una possibilità. Anche perché dopo Under the Bridge mi sono affezionato a Lily Gladstone, più che per il soporifero Killers of the Flower Moon :)

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    1. Qui la trovi in un ruolo che è un mix fra i due, sempre con il broncio, con il sorriso da zia che buca... qualcosa di più me lo aspettavo, però.

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