Andiamo al Cinema
Con la sua ritualità, con i suoi colori scenografici, con i suoi intrighi e segreti, l'elezione di un papa non smette di essere materiale per il cinema.
Questione di curiosità, di pruriginosità anche, di restare ammaliati di fronte a esecuzioni e gesti, a ripetizioni e sacralità uguali da anni.
L'ultimo a cascarci è Edward Berger, al suo debutto fuori dai confini tedeschi.
Lo fa con le spalle coperte da una sceneggiatura scritta da Peter Straughan e basata dal bestseller di Robert Harris, che senza troppi clamori, senza smuovere tanto le acque, segue un conclave nel suo divenire, mostrando come più che di fede, sia tutta una questione politica.
Niente di nuovo se si sono già visti l'Habemus Papam di Nanni Moretti -a suo modo molto più leggero- o il The Young Pope di Paolo Sorrentino -ovviamente molto più conturbante-, ma pur sempre un bel vedere.
Non fosse che per il cast che Berger riesce a mettere insieme, fatto di nomi solidi che si prestano a vestire la porpora e a dividersi in fazioni.
Abbiamo Ralph Fiennes, cardinale con dubbi, Stanley Tucci arrivista debole, John Lithgow arrivista più scafato e pure Sergio Castellitto, arrivista puro e semplice, di una corrente conservatrice che va fermata.
Ad ogni costo, anche andando a scavare nel passato torbido di questi cardinali, tirando fuori scandali degni di una qualunque elezione politica, conservando però i sigilli intatti per tenere fuori da tutto questo il mondo intero.
Un mondo dove esplodono bombe e si contano i morti mentre le fumate sono nere.
Ci sarebbe anche Isabella Rossellini, suora che tutto osserva e che molto sospetta, in un ruolo che credevo più importante e più centrale, viste le nomination ricevute.
Niente di nuovo, si diceva, se la ritualità è nota e se già la si è vista al cinema.
Il conteggio dei voti, i cambi di fazione, le crisi di coscienza, lo svelamento dei fatti.
Ma pur sempre sostenute da dialoghi incisivi, da monologhi che scuotono, da interpretazioni sottili.
Fino a un finale, in parte prevedibile e in parte sorprendente che ci lascia lì dove la Chiesa ha davvero a che fare con un segreto che potrebbe cambiare molte cose.
E che in parte riesce a cambiare anche il film.
Un film che procede per acque sicure, che fa affidamento ai riti, ai gesti, ai colori e alla scenografia naturale che la Cappella Sistina come gli appartamenti papali portano con sé, ricostruiti in quel di Cinecittà.
Anche se di nuovo c'è poco, c'è però la giusta tensione e il giusto interesse, in una solidità e una classicità che ricorda -anche per quelle votazioni da contrattare- l'ultimo Eastwood.
Non giurati ma cardinali, ma sempre di un caso di coscienza si tratta.
Classico e solido, per soddisfare.
Voto: ☕☕☕/5
Quando si parla di Papi sono sempre un po' diffidente, che si tratti di Enrico Papi o di autorità religiose, però questo film mi è piaciuto più del previsto. Notevole in particolare la parte finale.
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