Pablo Escobar.
Un nome diventato leggenda.
Ma se mi aveste chiesto, perché?
Bè, vi avrei risposto, la droga, lo spaccio mondiale, il suo averla fatta franca per anni con la polizia.
E basta, davvero poco altro conoscevo sul fantomatico Pablo e sulla sua Colombia.
Fortuna allora che ci pensa Netflix a colmare certe lacune storiche, e lo fa con una serie da cui non vi scollerete facilmente, capace di conquistare dal primo episodio non solo per ciò che racconta, ma soprattutto per come lo racconta.
A fare la differenza è senza dubbio la voce di Boyd Holbrook che ci accompagna in questo viaggio, una voce che si diverte a prenderci in giro, che non si fa scappare una buona dose di ironia e che interrompe, approfondisce o accelera quel racconto.
Holbrook è Steve Murphy uno degli agenti della DEA arrivato in Colombia negli anni in cui a Miami e in buona parte dell’America, agli spinelli e alle canne, si faceva spazio la cocaina: una droga nuova, lavorata nel mezzo della giungla, che iniziava a decimare i giovani della costa.
Ad esportarla, ci pensava proprio Escobar, boss che contrabbandava alcool, sigarette e cose di poco conto, ma che si ritrovò miliardario nel giro di un mese: una scalata senza precedenti, un business inarrestabile che lo porta addirittura a seppellire quei milioni che non sa come spendere, in un Paese in cui la corruzione è la legge, in cui tutto passa inosservato.
Come fermarlo, questo boss?
Murphy e il compagno Peña ci provano, cercando la collaborazione con la polizia locale, ma ci vuole una guerra per fermare questo cartello, una guerra che lo stesso Escobar comincerà dopo il primo grande rifiuto della sua vita da boss: quello del mondo politico, che gli volta le spalle, che non lo vuole con sé.
Dall’ascesa senza limiti della prima parte della serie, si passa così a una seconda in cui ancora più sangue, ancora più pallottole scorrono davanti ai nostri occhi: e, paradossalmente, è una goduria.
Questa stagione ce la si spara in vena (o per il naso) in un niente, grazie ad una ricostruzione che non lascia nulla al caso, in cui lo stesso Escobar interpretato da Wagner Moura e Boyd Holbrook sono somigliantissimi agli originali. Si aggiunga un tocco di fascino alla Pedro Pascal, è il gioco degli attori è completo.
E se ad una storia di riscatto e follia siamo ben abituati, soprattutto se all’interno del mondo della droga, quello che fa la differenza, soprattutto in una serie, è la narrazione, quasi ipnotica, in cui dalla fotografia alle musiche (a partire dalla sigla) tutto è perfettamente curato, tra inglese e spagnolo, in cui quella voce ci culla, ci porta per mano, ridendo di noi, anche, verso un epilogo che fortunatamente epilogo non è.
Si sono raccontati già gli anni più folli della vita di Escobar, e lì dove la mia ignoranza lo dava per spacciato, lo lasciamo invece all’inizio di una nuova fase, una nuova fuga. Inutile dire che lo si aspetta con ansia, che li si vorrebbe avere subito questi nuovi episodi da farsi.
Ma per non andare in overdose, aspetteremo pazientemente.
Mamma mia che grande prima stagione. Una roba impressionante!
RispondiEliminaStupefacente! La Netflix non perde un colpo..
EliminaPer ora ho visto i primi tre episodi. Davvero gran roba.
RispondiEliminaE non ti sei sparato già i restanti? Io ne vorrei subito ancora!
EliminaIo me la sono fatta fuori in due giorni, 5 episodi alla volta. Una rivelazione!
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