Io il tennis non l'ho mai capito.
Ho -e continuo ad avere- serie difficoltà a comprendere il regolamento, le linee di campo, il sistema di punteggio.
In tanti -praticamente tutti gli amici e parenti, cuginetti compresi, che a tennis han giocato- c'han provato a spiegarmelo, ma come per il rugby non mi resta in testa.
Il tennis però mi ha sempre affascinato.
Un po' per uno zio che al tennis era ed è appassionato in modo viscerale, un po' per quell'eleganza che le divise tennistiche esaltano, ma sopratutto per la componente fondamentale che la psicologia ha nel gioco, portando come in pochi altri sport la mente allo stesso livello del corpo.
Poi, ovviamente, c'è la visione di Borg vs McEnroe che ha di certo innalzato il mio interesse e c'è l'amore religioso che uno scrittore come David Foster Wallace ha nei confronti del tennis a rendermi più curiosa, più attenta, un amore che ha prodotto saggi, reportage e pure ambientazioni fondamentali nel suo libro più difficile, e quindi più bello (Infinite Jest).
Con questa curiosità ma pure con il timore di non capirci nulla, ho affrontato una biografia che da anni è best seller, la biografia di un giocatore il cui nome e la cui faccia sono universalmente conosciuti, che si metteva a nudo, in un confessionale definito choc.
Questo perché Andrea Agassi, primo al mondo a detenere il Golden Slam (la vittoria cioè dei 4 slam dell'ATP e della medaglia d'oro alle Olimpiadi, ad affiancarlo solo Nadal) il tennis lo odia.
E l'ha odiato da sempre.
Come non odiarlo se un padre-padrone ti ci costringe a giocare da quando hai 3 anni? Come non odiarlo se il tennis ha disgregato la tua famiglia, se regola la tua vita, se fa di te un burattino costretto a giocare contro un drago sputapalle e a sentire il tuo corpo andare a pezzi giorno dopo giorno?
Ma come fare a smettere se a quel gioco sei così bravo, se sei capace di emergere dagli altri, di battere anche quelli che fisicamente e mentalmente sono i più forti, di tenere testa ad un padre-padrone, ad un allenatore despota, guadagnando poco a poco soldi a palate e fama?
Già.
Una dualità con cui è difficile convivere, portata avanti negli anni attraverso maschere, attraverso divise da ribelle, parrucchini per coprire altre mancanze, un matrimonio tutt'altro che da favola e un atteggiamento spavaldo che nasconde in realtà tutte queste debolezze.
Agassi si racconta, in quello che diventa un lungo elenco di vittorie e di sconfitte, di rinascite e ricadute, tra premi gloriosi portati a casa e tonfi sonori ovviamente più mentali che fisici.
Lo fa con sincerità, scavando e aprendo la sua mente a suo discapito, a nostro vantaggio, lo fa mostrando tutte le problematiche che uno sport che richiede mente fredda, concentrazione e solitudine comporta. E se quel capitolo di apertura che rivela già la fine avvince e affascina, c'è da ammettere che il lungo elenco, le frasi corte e quasi sommarie, le ripetizioni e le sottolineature di un destino che per Agassi sembra già scritto, un po' han finito per stancarmi.
Colpa di una routine a cui ci si fatica ad abituare, ad anni che passano ma con sfide sempre uguali, avversari sempre uguali. Finendo per vivere come lui all'interno di una bolla in cui il ciclo cemento-terra-erba la fa da padrone più che le stagioni, visto che correndo lungo il mondo queste sembrano non aver senso.
Ma, alla fine, dentro questa bolla si creano dei colori, alcuni più bui (un matrimonio piuttosto infelice in cui si fa visita pure sul set di Friends) altri più luminosi (con la famiglia che Agassi si crea, con una moglie più consona, più amata, che il tennis lo conosce e lo odia forse quanto lui). E finisce che anche se la lettura è logorante nel suo elencare tornei e disfatte, le lacrime si versano copiose in quel finale che richiama l'inizio, in quell'uomo di 36 anni rinato più volte, pronto ad appendere la racchetta al chiodo. Si piange quando la racchetta la riprende, con la moglie, solo per allenarsi, si piange quando consegna la sua confessione ai figli, dando loro l'insegnamento più bello, quello di scoprire, amare, non rinunciare ai libri.
Con una conoscenza tennistica più solida, ora, con nomi mai sentiti che mi si sono appuntati nella mente, questa biografia servirà da base ad altro. Di certo Agassi, alunno svogliato, è stato un insegnante inaspettatamente passionale.
Di tennis continuo a non sapere nulla, a volte mi sono perso tra tornei, sconfitte e vittorie in fila indiana, ma mi ha davvero emozionato, e l'onestà brutale di Agassi alla fine l'ha ripagato. Bello come mi dicevano, davvero.
RispondiEliminaBello come dicevano e come dicevi tu, sì. Mi ci sono persa anch'io -e un po' annoiata- ma quando si passa al lato personale, lì va a segno.
EliminaPure io il tennis non l'ho mai capito, né tantomeno praticato o guardato.
RispondiEliminaE per quanto Borg McEnroe mi sia piaciuto, non mi ha fatto venire voglia di saperne di più. Figuriamoci Infinite Jest che si è rivelata una delle mie letture più difficili. E basta.
C'è stato però un momento in cui questo Open mi aveva incuriosito, poi ho letto la recensione entusiastica di White Russian e mi è passata la voglia ahahah
Dopo aver letto pure la tua rece, per quanto positiva, ho capito che con un libro così, a parte qualche momento, mi ci potrei più che altro annoiare. E quindi continuerò a girare al largo dai campi di tennis.
Con questo tuo poco entusiasmo difficile consigliartelo, Agassi è un antieroe la cui confessione lascia sorpresi, ma a tratti -quando si fa elenco e ripetizione- pure un po' annoiati, già.
EliminaLibro bellissimo per uno dei miei sportivi preferiti.
RispondiEliminaSono contento ti abbia conquistata. :)
Conquistata pur con qualche sofferenza, di certo ora vedo il tennis con altri occhi.
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