31 gennaio 2024

Il Cacciatore

#LaPromessa2024

Ci sono film che fanno parte della tua vita anche se non li hai mai visti.
Il Cacciatore, o meglio, la sua VHS, mi ha guardato per anni nel salotto di casa. 
Se ne stava lì, allineato con le altre VHS de L'Unità, quelle con i film preferiti di genitori che non avevano così tempo di guardarle.
Il mercoledì, la serata libera, si andava a noleggiarne di nuove infatti.
Alcune, negli anni, me le sono guardata da sola, altri titoli li ho recuperati in formati più comodi, Il Cacciatore no.
Sarà per un De Niro che ispirava gran poca simpatia in copertina, sarà per il titolo che non mi vede certo a favore, sarà anche solo per la durata, quei 183 minuti che da adolescente spaventano e non è facile trovare. Soprattutto se i film iniziavo a guardarli quando tutti andavano a letto.
Recupero solo oggi, con anni di ritardo, ma lo faccio nel modo migliore.
Non solo per tenere fede a una Promessa appena sancita, ma per applaudire agli eventi cinema che in casi come questo hanno senso.
Una sala piena, i sottotitoli a non spaventare più, molto padri con figli, molti giovani anche.
Tutti lì per Michael Cimino.


Si inizia, e il sapore è quello caldo dei film di una volta.
La senti la grana della pellicola anche se restaurata, lo senti il calore del sonoro pastoso, senti quello che i film di oggi non hanno più, e che non sapevi ti mancasse così tanto.
Ma la prima sorpresa arriva in fretta.
In tutti questi anni, non mi ero mai fatta chissà quali domande sulla trama.
Si parla di tre amici, pronti a partire per il Vietnam.
E chissà perché mi ero immaginato il film come un lungo confronto durante le ultime notti passate assieme in una baita in montagna per un weekend di caccia.
Avevo ragione solo in parte, perché prima ci sono 51 minuti di matrimonio, di preparativi e festeggiamenti e risse e segni di pace e sguardi e bevute e quasi tradimenti.
51 minuti dove incalza la musica, l'alcool, dove le dinamiche diventano chiare fra questi amici scapestrati. 
C'è il bravo ragazzo, Steven che sposa una donna che forse non ama, che non ha messo incinta, e che lascia subito sola.
C'è il piacione, Nick, quello innamorato di Linda, sì, ma che non disdegna le altre, pur cercando di mantenere una precisione, un rigore.
E c'è l'amico tormentato, Mike, quello innamorato della donna dell'altro, quello silenzioso, spigoloso, e per questo affidabile.
Li vedi così anche tra i monti in cui finiscono a caccia, e li ritrovi così anche fra i campi, i fiumi, le strade del Vietnam. Che è però la Thailandia, nella realtà, sotto un Colpo di Stato, con le guardie a protezione della troupe, con gli attori a farsi da stuntman.


In Vietnam, dicevo, lì dove non sapevo il film sarebbe finito, lì dove la loro amicizia viene messa alla prova ma ancor più la loro tenuta mentale.
In tutti questi anni, pensa te, manco sapevo che Il Cacciatore era il responsabile dell'avvento della roulette russa nella cultura pop. Con lunghi confronti angoscianti, con i suoi cadaveri senza volto.
Inaccuratezza storica o meno (ancora si dibatte), rappresentazione razzista di vietnamiti sadici e amorali (con crisi internazionali al seguito), la ragione ce l'ha Cimino stesso, che non voleva parlare di Vietnam nello specifico, voleva parlare di guerre, sì, ma soprattutto di come tre persone amiche, simili, potessero cambiare di fronte a qualcosa di così sconvolgente.
Come la guerra, appunto, come la morte sempre a passo, sempre a un proiettile di distanza.
Devo dirlo io, 46 anni dopo, dopo 5 Oscar e classifiche varie, che riesce a farlo bene?
Certo che no. 
Anche se ammetto che la terza parte -il ritorno a casa di Mike- mi è sembrato gestito con eccessiva fretta, con meno accuratezza psicologica rispetto ai 51 minuti (sì, mi piace ripeterlo) di matrimonio o i tanti primi piani in attesa di un grilletto da premere.


Posso dire però di aver preso un altro granchio, pensando al bel John Savage come compagno in fin di vita di Meryl Streep, da lei accudito durante le riprese, voluto a tutti i costi da De Niro e da Cimino a costo di pagare di tasca loro l'assicurazione medica che a un malato terminale di cancro non poteva essere concessa con facilità. Invece, nonostante la magrezza e la fragilità che gli ho visto addosso per tutto il film, era John Cazale che dovevo guardare.
Anche se devo dire che gli occhi, sono corsi spesso a Robert De Niro, così silenzioso e mai così affascinante, alla bellezza eterea di Meryl Streep ma soprattutto al fascino confuso di un emaciato Christopher Walken, l'unico a portarsi a casa un Oscar fra gli attori, decisamente meritato.


I miei riferimenti sono quelli che sono e così, nella bellezza tra i monti, nel colpo non sparato, nel grido di rassegnazione e nell'amicizia perduta, ho ritrovato un pezzo delle Otto Montagne da scalare per conoscersi davvero che probabilmente ha ispirato pure un tipo come Cognetti.
Non me ne voglia quella VHS impolverata e nascosta in chissà quale scatolone al fianco di un videoregistratore non più in funzione, ma scoprire Il Cacciatore sul grande schermo, in una sala piena, ha avuto tutto un altro sapore.
Quello del grande cinema.

2 commenti:

  1. affascinante il tuo personalissimo approccio a un film cult. Non con 46 anni di ritardo, ma dopo che per 46 anni lo hai lasciato maturare al buio, come potesse nella lunga attesa affinarsi come un buon vino. Mi sono piaciute le idee che nel frattempo ti eri fatta della trama e degli interpreti e la sorpresa nel constatare che trame e interpreti fossero diversi, migliori, dall'atteso.
    adesso forse è ora che anche io veda il cacciatore :)
    massimolegnani
    (orearovescio.wp)

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    1. Ho aspettato 46 anni per il film e un paio di settimane per risponderti, il tempismo non è tra i miei pregi. Però sì, il consiglio è di recuperarlo, tanto che al cinema ancora si trova ;)

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