5 novembre 2022

Rapiniamo il Duce

Andiamo al Cinema su Netflix

Diciamolo da subito: Rapiniamo il Duce ha tutti gli ingredienti giusti, ma li dosa male.
Dici che ha un gran cast, capitanato dai giovani affascinanti Pietro Castellitto e Matilda De Angelis, con Filippo Timi e Isabella Ferrari a fare da contraltare.
Dici che ha una trama intrigante sul furto quasi impossibile del tesoretto di Mussolini, pronto alla fuga verso alla Svizzera, derivativa e non storica, che esce dalla serietà dell'epoca per raccontare altro: sopravvivenza e grandi speranze.
Ma alla fine, ne esce un pasticciaccio che non riesce nemmeno ad intrattenere visto che si è più impegnati a trovare i difetti che a godersi lo spettacolino.


Siamo sempre fermi lì, agli "italian job" dove prima si presenta la squadra composta va da sé da personaggi strani al punto giusto, poi siamo all'esposizione e alla preparazione del piano perfetto e infine, ovviamene, c'è quel piano che inizia a fare acqua, ci sono doppi giochi rilevati, c'è il lieto fine da rincorrere perché ovviamente di mezzo c'è anche l'amore.
Niente di nuovo.
Anche se qui ci si immerge nel fascismo milanese nei suoi ultimi giorni, nel mondo del cinema di parata con i partigiani relegati in un angolo.
A crederci, sembrano essere solo Castellitto e Timi, con De Angelis relegata al ruolo di femme fatale e per gioia di tutti, inquadrata in continuazione a ricordarci quanto è bella, pur essendo anche brava.


Renato De Maria che sta conoscendo una seconda vita grazie a Netflix, non poteva trovare casa migliore visto il suo stile molto americano, molto patinato, che corre veloce usando una colonna sonora storicamente non attendibile ma di grande impatto, sforzandosi il minimo in sceneggiatura che la frase "Ti fidi di me?" risulta abusata dai tempi di Aladdin.
Per una volta, allora, mi ritrovo a dire che 90 minuti sono troppo pochi per riuscire a far star dentro tutto, tra fumetti superflui e inseguimenti fatti male, compreso l'ego di De Maria che dopo Lo Spietato deve essersi ingrandito.


Poco si approfondisce, molto si sorvola, con Maccio Capatonda a rendere la visione un ibrido dei suoi trailer più divertenti a scapito del film stesso.
Che non è da buttare, sarebbe semplicemente da rivedere dosando in modo diverso gli ingredienti, che Smetto Quando Voglio è già stato fatto, e questa brutta copia finto-partigiana non ha la stessa forza, la stessa ispirazione.


8 commenti:

  1. Ormai la donna bella è condannata a rendere appetitosa una minestra sciapa. Il maschilismo ha rotto gli argini e straripa.

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    1. Fortuna che Matilda è anche brava, ma in questo film il suo ruolo la mette in un angolo.

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  2. Non è in lista, purtroppo, troppa roba prima.. questione anche di "merito".. ahah

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    1. Fai bene, speravo non azzoppasse una serata all'insegna della leggerezza e invece tra sbuffi e sbadigli è riuscito ad appesantirla...

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  3. Un film che urla "Boris" ad ogni fotogramma, dovrebbero vederlo quelli che hanno criticato "Freaks Out" di Gabriele Mainetti, chissà se così riusciranno a notare le dieci piccole differenze ;-) Cheers

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    1. Fin dal primo minuto mi ero ripromessa di citare Freaks Out e il Castellitto Jr. specializzato nei ruoli da antifascista, e invece me ne sono dimenticata.
      Mi dimenticherò in fretta pure di questo film, nemmeno degno di una parodia di Maccio...

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  4. Ingredienti non dosati molto bene.
    Io avrei messo parecchio più Maccio Capatonda e l'avrei reso protagonista assoluto! :)

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    1. Il suo trailer batte questo film. Chissà che Netflix non glielo faccia fare :)

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