Tanto si è parlato della sua durata mostruosa, quanto si è dimenticato che Brady Corbet alla regia è un professionista.
The Brutalist con i suoi 215 minuti di durata (15 di intermission, molto graditi in sala) ha fatto discutere fin da subito.
Un film? Una miniserie? Chi lo distribuisce o anche solo lo vede un film così?
Ma quello che non si è detto è che Corbet ha girato il tutto in 70mm, ieri era pure in sala a supervisionare la proiezione, e che soprattutto The Brutalist scorre bene in tutta la sua perfezione. Mi ritrovo così a rivedere le mie perplessità nei suoi confronti, dopo le non felici sensazioni che Childhood of a Leader e Vox Lux mi avevano dato nelle scorse edizioni.
Un'epopea americana, di chi in America cerca fortuna o solo un punto di ripartenza dopo gli orrori della guerra subìti in Europa. Cerca una nuova vita, da solo, Laszlo Tòth, che da architetto esperto tanto osannato dalla critica quanto perseguitato dai nazisti, si ritrova a ripartire dallo sgabuzzino del cugino, in un negozio di arredamento. Moglie e nipote non sono state altrettanto fortunate, aspettano di partire, si comunica via lettera. Il colpo di fortuna, per uno di poche parole, dal fare concreto e che poco si fida degli altri arriva dalla famiglia van Buren che lo assume e non lo paga, che lo cerca e gli affida un sogno, cercando di aiutarlo. Ma sono i ricchi arricchiti che vogliono tenere sotto scacco gli altri per sentirsi importanti, sono brutali nella loro generosità e nel progetto che gli consegnano, Laszlo non vuole dimenticarlo, realizzando un centro di aggregazione secondo le sue regole. Solo secondo le sue regole.
In un viaggio che parte dall'Europa e arriva a Venezia, passando per Philadelphia e Carrara nella sequenza più suggestiva e onirica, si viene immersi nella visione, nelle ossessioni, nel modo di vivere frenetico, urlato, solitario e guardingo di Laszlo, mentre attorno a lui lupi e segugi si affollano.
Ci si era dimenticati anche di quanto è bravo Adrien Brody, rimasto in sordina negli ultimi anni e che qui brilla e si mangia la scena, con la sua fisicità particolare, con il suo fare particolare. Il resto del cast non è da meno, da Guy Pearce a Joe Alwyn fino ad arrivare a Felicity Jones.
Il punto, spesso si perde in mezzo alla confusione controllata che Corbet crea, ci si perde in feste, viaggi, amplessi e scontri, ma un punto c'è e coglie sul finale in cui la metafora ci viene spiegata, il viaggio passa in secondo piano rispetto alla meta.
Una visione mostruosa, difficile da dimenticare, particolarmente sentita in una sala sold out partecipe come mai.
Nessun commento:
Posta un commento