Paul & Paulette Take a Bath
Quando arrivano le commedie alla Mostra, lo spirito si risolleva. Quando le commedie in questione sono un boy-meets-girl leggero con tanto di meet cute strano al punto giusto, scatta il mio colpo di fulmine.
Paul è un americano in trasferta a Parigi, sogna di fare il fotografo ma non è certo la carriera più facile.
Paulette è uno spirito irrequieto, attratto da tragedie e luoghi macabri che trova in Paul la guida perfetta.
Si conoscono lì dove Maria Antonietta è stata decapitata, proseguono tra cimiteri fino ad arrivare all'appartamento di Hitler a Monaco, in un viaggio per ritrovare i genitori di lei, in quel passato che non vuole raccontare. Sono amanti, anche se Paulette pensa solo a Marguerite, si amano in quel momento, anche se Paul vorrebbe di più, tanto da provarci con un grande gesto.
È Parigi, con le sue contraddizioni, le sue bellezze che passano attraverso il modo naturale di Marie Benati di giocare con il suo corpo, un volto che fa la differenza in questo colpo di fulmine istantaneo che parla di amore e di morte riuscendo a essere originale.
Fisherman
Le sorprese più belle, negli ultimi anni, le ho trovate nella Biennale College, in quei progetti finanziati dalla Biennale stessa e che danno voce a voci giovani di paesi lontani. Siamo in Ghana, questa volta, siamo a seguire la storia di un anziano pescatore ligio alle tradizioni che non ci sta a essere superato dal futuro. E invece, il posto sacro di capo barca che doveva spettargli di diritto, finisce nelle mani di chi sa usare la tecnologia, sa capire senza nemmeno saperci stare in mare dove andare a pescare, il tempo che ci sarà.
Deluso e affranto, Atta Oko Sackey trova in tre giovani un nuovo sogno: quello di comprare una barca tutta sua e di iniziare un suo business. Tocca andare in città, tocca affidarsi a un pesce magico e fortunato che gli parla e lo indirizza, con un fare tanto ironico quanto assurdo.
È una commedia in un'edizione che ancora non me ne aveva regalata una, di cui è facile innamorarsi. Leggera e dai tempi comici ben studiati, mescola le tradizioni ghanesi al presente fatto di dirette internet e sushi tenendosi centrale la figura di un padre anziano che non vuole soccombere alla tecnologia.
Solo nel finale si risente di una chiusura forzata di tutte le storie aperte, per il resto questo Fisherman si candida a colpo di fulmine della Mostra, che con leggerezza e il tocco internazionale della regista Zoey Martinson conquista.
Pavements
La più grande rock band di tutti i tempi, una reunion attesa che ha creato il caos, un musical, un museo e pure un film di Hollywood che potrebbe sbancare agli Oscar.
Ma chi sono i Pavement?
Perché io come molto altri mica li conoscevo.
Gruppo di nicchia, sperimentale nel periodo delle sperimentazioni anni '90, uno scalino sotto i Nirvana e i Sonic Youth con cui hanno condiviso il palco.
Un gruppo generazionale che in America ha fatto breccia nel cuore di molti, ma non di tutti, anche perché allergici al mainstream, al commerciale, tenere a bada un genio complicato come quello del frontman Stephen Malkmus non era semplice. Lo dice anche una battuta del Barbie di Greta Gerwig.
Ma nella riscoperta del gruppo che passa dalla loro reunion, c'è molto da prendersi in giro per pose e aspettative di quegli anni. C'è un film, quindi, c'è un musical da preparare, e c'è un museo da aprire. Alex Ross Perry decide di fare le cose diversamente. Non firma il più classico dei biopic hollywoodiani ma li prende in giro con Nat Wolff e Joe Keery a prendersi gioco anche degli attori che un Oscar lo hanno vinto o l'hanno sfiorato con ruoli simili. Non fa un musical classico ma ne mostra le prove, il coinvolgimento di giovani che neanche le conoscono le canzoni rimaneggiate, inaugura un museo e così ripercorre la storia di un gruppo molto particolare che meritava un documentario particolare, in linea con la loro genialità ai margini, senza autocelebrazioni ma tanta autoironia.
Certo, se li avessi conosciuti avrei adorato tutto ancora di più.
Così non posso che applaudire l'esperimento e andare ad ascoltarmi i soli 5 album che il gruppo ha composto, segnando almeno una generazione.
Marco
Spagna, 2005
La verità su Enric Marco viene a galla.
Lui, carismatico presidente dell'associazione sopravvissuti ai campi di concentramento in Spagna, impegnato fra conferenze, interventi pubblici e interviste, in un campo di concentramento non c'è mai stato.
Si è costruito un passato per nascondere la sua fuga in Germania in tempi di guerra, per fare conoscere la verità delle deportazioni tenuta nascosta per anni, ma anche per avere i riflettori puntati addosso come ha sempre voluto. È un personaggio viscido e scomodo, un affabulatore che negli anni ha incantato il pubblico ed effettivamente fatto del bene a un'associazione che grazie a lui ha ricevuto fondi e fatto informazione nelle scuole.
Ma questo basta a giustificarlo?
Il film si muove senza dare una risposta precisa, dando nuova luce a un personaggio già protagonista di documentari e film per la TV che non può che incuriosire e che doveva essere approfondito ancora una volta a livello psicologico. Il ritmo è serrato e il film si muove quasi come un giallo, con le minacce di uno storico e il castello di carte che cade che non può che cadere.
King Ivory
America, giorni nostri
Il Fentanyl dilaga tra giovani e meno giovani, facendoli cadere come mosche.
Come ogni racconto di droga che si rispetti, si seguono più punti di vista: quello di un agente chiamato a sgominare spacciatori e cartelli rischiando ogni giorno la sua vita, quello di un piccolo boss messicano, che deve stringere accordi con i boss in prigione e trovare carne fresca da fare spacciare, quello dei più giovani -il figlio dell'agente di cui sopra per la precisione- che annoiati si fanno tentare dal brivido del Fentanyl.
Niente di nuovo insomma, anche se il film scorre solido su binari noti senza sbavare tra i morti citofonati che scuotono, le sparatorie e gli inseguimenti tesi e una situazione che chissà se cambierà.
Non il modo migliore per far risuonare l'allarme nei confronti di un sistema che permette il dilagare di certe droghe, anche perché i nomi di grido corrispondono a Ben Foster e Michael Mando, non certo di grido insomma. Ma almeno si continua a parlarne, mettiamola così.
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