12 aprile 2019

Il Mio Capolavoro

È già Ieri -2018-

A Venezia si sa, è difficile riuscire a vedere tutto tutto tutto quello che il programma propone.
Si fanno scelte, si va sulla fiducia, sull'intuito, sui suggerimenti e i consigli.
E si guarda anche alla propria salute mentale.
Capita di vedere sòle clamorose, di perdere titoli importanti, capita di azzeccare a scatola chiusa, di riempire buchi come meglio si crede.
E poi, può capitare la cosa più brutta di tutte: rimanere fuori dalla sala. A un passo dall'ingresso.
Succede se non hai il potere dell'accredito rosso (stampa) e soprattutto se la sala in cui quel film viene proiettato è una di quelle minori, dalla capienza decisamente limitata.
Succede soprattutto se si è al primo giorno, con un solo film in programma, interessante e di richiamo, dato chissà per quale arcano motivo proprio in quelle sale più piccole. Così, per la prima de Il mio capolavoro pure gli accrediti rossi sono rimasti fuori.
Mal comune mezzo gaudio.



Sta di fatto che Mi Obra Maestra è così segnato in agenda da settembre, per quel regista -Gastòn Duprat- che mi aveva fatto sbellicare dalle risate con Il cittadino Illustre, per quei Guillermo Farcella e Luis Brandoni che promettevano altre grandi prove d'attore.
Ma lo dico subito: di risate questa volta me ne sono fatta poche.
Il fattore sala ha fatto la differenza e anche se il film è uscito (eufemismo) nei nostri cinema a gennaio, vederlo a casa, sola, non ha fatto scattare l'amore per un certo tipo di ironia.
La trama è di per sé piuttosto semplice: l'amicizia tra un curatore d'arte perfettino e ben assestato all'interno di Buenos Aires -Arturo Silva- e un pittore -Renzo Nervi- ormai decaduto, lontano dal glorioso passato di successo, burbero, meschino, egoista ed egocentrico.
Finché quest'ultimo in un incedente non perde la memoria, riflette su quello che ha seminato, e decide di farla finita. Proprio con l'aiuto di Arturo. Solo così i suoi quadri riacquistano valore, il suo nome torna sulla cresta dell'onda.


Ovviamente c'è di più.
C'è un mistero, un omicidio, una confessione a ritroso.
C'è una riflessione sul mondo dell'arte, soprattutto quella contemporanea e concettuale. E sul mercato che la smuove.
Ci sono i classici equivoci, le classiche provocazioni.
E quell'amicizia, non resa al massimo, ma comunque sentita.
Il problema sta forse in un'introduzione che prende parecchio posto rispetto all'azione, e la parte più interessante relegata in un finale quasi frettoloso.
Siamo distanti poi da quella strana opera che è Velvet Buzzsaw, che dello stesso ambiente parla, non risparmiando in assurdità.
Probabilmente qui parlano le aspettative, parla una certa antipatia verso tipi animaleschi come Renzo o perfettini come Arturo. Parla di sicuro il ricordo del malumore, della delusione davanti a una porta chiusa, una maschera che vieta l'ingresso e due ore da impegnare in qualche modo.
Insomma, per fare una battuta altrettanto scontata, questo Mio Capolavoro non è certo un capolavoro.
Come un quadro, si lascia vedere e poi si passa oltre.

Voto: ☕☕½/5


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