6 novembre 2019

Doctor Sleep

Andiamo al Cinema
[sarà un post lungo, e con qualche SPOILER]

Partiamo da lì, da dove inevitabilmente la lingua batte: Doctor Sleep è il seguito di Shining.
Lo Shining di Stephen King, ovviamente, ma anche lo Shining di Kubrick.
E in un mondo in cui è più facile copiare, continuare o rifare le stesse cose, cercare di dare un seguito a un film di Kubrick sembra quasi un'eresia.
Quasi, perché Mike Flanagan non è certo uno qualunque, perché King stesso che dal film di Kubrick ha sempre preso le distante, ha fornito un materiale diverso, importante, da permettere questa operazione.
Un materiale che va a scavare sia in quel 1980 di sangue e nelle conseguenze di quel sangue, sia in un presente tutt'altro che facile per il sopravvissuto Danny, il figlio di Jack Torrance, e la sua luccicanza.
Ed è proprio questa luccicanza ad avere peso, ora.



Una luccicanza che è cibo prezioso per strani esseri inquietanti, luccicanza che si trova in altri bambini speciali.
Danny, però, non l'ha mai accettata.
Non ha mai superato la tragica trasformazione e la perdita del padre, annegando nell'alcool e in una vita dissoluta il suo potere. Finché arriva la classica goccia che fa traboccare il vaso, finché gli incontri giusti, la città giusta non gli permettono di fare pace con se stesso e con il suo passato, conoscendo così un'altra bambina speciale, che quei mostri li vuole fermare, che da quei mostri deve difendersi.
Doctor Sleep è così un film non solo su Danny Torrance, ma anche sulla giovane Abra e le sue incredibili capacità e soprattutto su Il Vero Nodo: quella congrega di esseri inquietanti, che girano l'America mietendo vittime, vivendo per centinaia di anni, alimentandosi di paura e di terrore e che danno la caccia a chi è speciale, a chi quella luccicanza la fa brillare.
Doctor Sleep diventa così un film sui danni che quel passato comporta, sui traumi difficili da superare dove non sono certo le scatole in cui si chiudono a tenerli lontani. Ed è poi un film sull'amicizia e sull'essere speciali, che non significa per forza di cose spostare cucchiai o captare segnali, ma semplicemente entrare nell'altro, rassicurarlo con la propria voce, la propria presenza.


Ewan McGregor stropicciato, dimesso, o poi ripulito e dolce nella sua malinconia, è un Danny perfetto. Ma la scena gliela ruba una Rebecca Ferguson incredibile, che è una Rose the Hat che paura ne mette parecchia. Lei e il suo Nodo fanno tremare al solo comparire, lei e la sua magia, la sua cattiveria, la sua umanità nella disumanità si fanno difficili da dimenticare e da digerire, con il sangue che mostrano, la fisicità che hanno.
E si arriva a parlare di quegli effetti speciali che sono sempre una mina vagante e che sono invece qui un fiore all'occhiello di un film solido in ogni suo tratto. Che si voli, che la stanza si capovolga, che si entri nella mente dell'altro, la solidità non crolla.
Non cede, e Mike Flanagan porta il suo mondo, la sua musica (la colonna sonora è firmata dai fidi Newton Brothers) e la sua fotografia, anche qui.
Omaggia Kubrick, ovviamente, fin dalla prima ripresa aerea -ma statica- riprendendo poi quanto fatto da Stanley nel lungo viaggio in auto fino all'Overlook Hotel.
E rimette mano all'hotel stesso, in modo splendido.


Siamo all'ultima parte, in cui il grande confronto con quanto fatto da Kubrick chiede pegno.
Un pegno e un peso che Flanagan sa gestire benissimo, strizzando a più riprese l'occhio ai fan, dando spazio a tutte le scene culto del caso, ma riuscendo a dare all'Overlook Hotel una sua impronta, una sua personalità.
Se il piano messo in atto da zio Dan sembra a prima vista stiracchiato, la tensione è così alta che poco ci importa: torniamo volentieri fra i lunghi corridoi e quel labirinto innevato, camminiamo su quella moquette, ritrovando porte sventrate, ascensori sanguinolenti. Danny quei fantasmi li deve affrontare una volta per tutte, e lo fa per salvare non se stesso ma un altro.
Fa da esca e fa da artefice del suo destino, e mentre quei fantasmi tornano, mangiano, incutono ancora tutta la loro paura, la sensazione di un cerchio che si chiude si fa fortissima.


Così, quei 152 minuti che inizialmente spaventavano, quel sequel che sembrava un'eresia, diventano uno dei film più belli e solidi visti ultimamente. Diventano un omaggio e un'integrazione a spiegare quello che Kubrick aveva lasciato fuori, a mostrare come certe storie non possono finire, lasciando segni, tracce, cicatrici.
Si torna lì, fra quei corridoi dove zoppicare con un'ascia in mano.
Si torna lì, in quella caldaia, dove tutto era iniziato.
Si torna lì e lì si finisce, non più nel gelo della neve, ma nel caldo del fuoco.
Un cerchio che si chiude.
Un conto che si paga.
Ma una fine che non è tale, non quando la luccicanza continua a brillare così forte.
In Abra, ovviamente.
E al cinema: grazie a Mike Flanagan che vince ogni pregiudizio, brillando di luce propria.

Voto: ☕☕☕☕/5


8 commenti:

  1. La tua recensione, bellissima, mi consola e Invoglia. Io sono un lettore prima di tutto, e a me Shining non è mai troppo piaciuto nello stravolgimento di Kubrick. Se non discuto la maestria della regia, mi riferisco a una sceneggiatura che toglie i dubbi e i fantasmi di King: si parlava tra le righe dell'alcolismo dell'autore, che come un hotel infestato minacciava di distruggere la sua famiglia felice. Di Flanagan, con più cuore, più attori a me cari, ci si fida. Curioso di come saprà mediare tra i due modelli.

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    1. Grazie, e vai tranquillo :) Il giovine lettore che aveva visto quand'era realmente giovine lo Shining di Kubrick, l'ha rivisto fresco di lettura unendosi alle ingiurie di King. Storia stravolta, senso che mancava. Io che non ho letto niente, mi sono goduta nuovamente lo spettacolo.

      Con Doctor Sleep è uscito invece più entusiasta di me, ritrovando quanto aveva letto, i personaggi proprio come li aveva immaginati. Io, c'ho trovato una storia bellissima, un omaggio sentito, una luccicanza che finalmente capisco.
      Insomma, un altro punto a segno per Flanagan.

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  2. Meglio ancora, Cassidy! Lisey, pare, lo dirigerà Larrain!

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  3. Flanagan ha saputo accostarsi con rispetto ma anche con personalità a queste due opere così importanti, libro (il primo, anche se qui si parla del sequel, ma comunque si andava a scomodare anche quello) e il film di Kubrick ed è riuscito ad imprimere la sua visione di cinema e di cinema horror in particolare in maniera encomiabile secondo me. Rose vedo che ha conquistato veramente tutti, questo fa piacere.

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    1. Di rischi ne ha corsi davvero tanti, ma grazie alla storia e grazie ad omaggi che si incastrano benissimo in questa, il risultato è da applausi.
      Rose non so se è più affascinante o più inquietante: interpretazione riuscitissima quella della Ferguson.

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  4. Grazie anche a te, quando un film è così bello, l'ispirazione si fa sentire ;)
    A testa alta e probabilmente con un finale migliore (almeno a detta del giovine lettore), Flanagan non lo ferma nessuno.
    E come dicevo a Mr. Ink, aspetto la sua nuova serie Netflix!

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  5. La tua opinione mi dà fiducia, più che luccicanza, eppure quei 152 ancora mi spaventano... Più che per il minutaggio, per il confronto con lo Shining di Stanley Kubrick e per il fatto che spesso le trasposizioni di Stephen King le patisco alquanto. Escluso appunto Shining.

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    1. Qui c'è di che stare al sicuro. L'omaggio, a King e a Kubrick è di quelli ben fatti, e quei 152 minuti non si sentono troppo. Forse solo all'inizio, ma tra tensione e una bella storia, li si regge senza pesare... vai che voglio sapere se ti schiererai nella luccicanza con me o nell'ombra di Mr. Ink ;)

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