Secondo scontro con il cinema orientale in questo Festival.
Secondo scontro impari.
Colpa sempre di quei tempi rarefatti, di quel linguaggio distante, di quella morale, di quella mentalità che fatico a capire.
E pensare che la storia, femminile e delicata, è di quelle che hanno il loro peso, e pensare che il tutto è trattato con grande intelligenza, non semplice quando di mezzo c'è lo stupro di due bambine di 12 anni da parte di un uomo di potere. La loro storia, con le indagini che ne conseguono, si interseca a quella della donna delle pulizie dell'albergo in cui il fatto è accaduto, lei, immigrata clandestina, tutto ha intuito, e cerca di ricavare qualcosa dalla situazione, soldi, una carta d'identità, un tornaconto.
Non sarà facile, perchè la città brulica di brutti ceffi e di corruzione, di boss maneschi e fidanzati di cconvenienza. Nel mentre, quelle bambine cercano di cavarsela, le loro famiglie di rinnegare o affrontare di petto il fatto, con un rigore e dei silenzi che non ci si aspetta.
Un'unica luce, in tutto questo buio, da un'avvocato che la verità la vuole scoprire, che vuole giustizia e che a casi simili è purtroppo abituata.
Un ritratto di certo non consolatorio, che fa da contraltare a quel parco giochi sulla spiaggia dove spesso ci si muove, e soprattutto, a quella gigante Marilyn di plastica che quel parco lo sovrasta, diventando lei stessa, le sue gambe, almeno, protagoniste.
Entrare nella vicenda non è facile, sembra sempre di essere sulla soglia, in attesa di un climax, di un grido, di una speranza. Proprio come la regia di Vivian Qu, che potrebbe ottenere immagini iconiche e splendide con quella Marilyn in volo, quella Marilyn sull'autostrada, ma preferisce non mostrarla, mostrarne solo una parte, per focalizzarsi sul piccolo, su protagoniste la cui voce deve essere sentita.
Mi sa che per una volta faccio l'angelo e me ne volo lontano da questo film. :)
RispondiEliminaNon fai male, anche se rispetto a altri film orientali, c'è una delicatezza che non dimenticherò.
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