2 settembre 2019

Venezia 76 - Martin Eden

Martin Eden lo avevo letto ai tempi del liceo.
Ricordo poco, se non la sua passione che lo spingeva alla fame pur di continuare a leggere, scrivere, credere nel suo sogno di scrittore.
Ricordo i viaggi in nave claustrofobici, i deliri della malattia e poi l’improvviso successo che diventa arma a doppio taglio dopo tutti i rifiuti ricevuti in anni, diventati ora materiale prezioso.
Pietro Marcello prende tutto questo e liberamente dalla California lo porta a Napoli unendo la lotta politica e di classe, facendo di Martin un orfano che cerca di cavarsela e che grazie all'aristocratica Elena Orsini conosce il fuoco della letteratura.
Cambia lo scenario, quindi, ma il percorso resta simile, con i tanti rifiuti da mandare giù, con lo scontro verso una famiglia che non lo accetta a tenere banco.



Storia non nuova.
Arricchita poi da sfoghi socialisti, da lezioni di pensiero politico e messaggi su quanto il successo cambia -non tanto il protagonista, quanto chi gli sta attorno.
Si vorrebbe difenderlo questo film, audace, con un Luca Marinelli sempre bello, sempre bravo.
Ma la struttura scricchiola.
Scricchiolano anche i dialoghi, la fotografia non sempre sulla grana giusta, gli inserti d’epoca raffazzonati e scricchiola il finale, che balza in avanti di anni senza troppe preparazioni e con un trucco che lascia a desiderare.
Il risultato è più confuso di quanto si vorrebbe, con lo stesso Martin a diventare antipatico, lui e i suoi sbotti, le sue grida.
Si fatica così a scriverne di più, perchè resta l’amaro in bocca e pure un po’ di fastidio.
Non che ci si aspettasse una trasposizione fedele -il tentativo è apprezzato- ma una versione più chiara e più riuscita sì.

Nessun commento:

Posta un commento