Con un calendario così fitto di titoli su cui puntare, le delusioni sono da mettere in conto.
Come le serie TV che si iniziano, ma che già si capisce che stanno portando via il poco tempo libero a disposizione, e forse è meglio abbandonarle. Non c'è nessun obbligo al supplizio e non c'è nessuna medaglia se si porta a conclusione una serie che non interessa, quindi posso ammettere candidamente di aver lasciato inconcluso il pesantissimo Long Bright River con una Amanda Seyfried brava, certo, ma a recitare un personaggio scritto con i piedi su una ricerca poco appassionante, e pure Dope Thief, con la stessa patina cupa e grigia e pesante nonostante i protagonisti Wagner Moura e Brian Tyree Henry che mi avevano illuso.
Probabilmente finirà per fare la stessa fine anche House of Guinness, nonostante il tanto clamore al secondo episodio sembra di stare dentro una soap opera con una colonna sonora migliore ma fin troppo ingombrante, il Peaky Blinders di serie B non ha protagonisti altrettanto efficaci e una trama che Steven Knight fa già girare a vuoto. Provo a dargli un'altra chance, ma il giovine mi ha già abbandonato nonostante la passione per la birra di Dublino. Qualcosa vorrà dire.
È andata meglio con questi tre titoli? Non proprio, il mio tempo, purtroppo, era più prezioso.
Black Rabbit
Il Buono
Jason Bateman e Jude Law sono i fratelli diversi che non ti aspetti, ma che a loro modo funzionano.
Scapestrato, dedito al gioco d'azzardo e alle fughe continue uno, pieno di fascino e gestore di un ristorante di successo pronto al grande passo, l'altro.
Il loro problema? Non sapersi accontentare infilandosi in problemi sempre più grandi alla ricerca di soldi e finanziatori.
Per ripagare i suoi debiti uno, per mantenere uno stile di vita sopra le sue possibilità, l'altro.
Il grande passo di uno corrisponde con il ritorno a casa dell'altro, con la mafia locale a richiedere quanto gli spetta con gli interessi e tortuose vie che passano per truffe e estorsioni e incendi e rapine per racimolare quel denaro.
Il grande problema di Black Rabbit?
Tirarla per le lunghe con 8 episodi che sfiorano l'ora, di cui funzionano forse la metà, con fin troppi personaggi sacrificabili, fin troppe storie che non hanno peso e con un colpo di scena che non è certo a sorpresa e un finale prevedibile come pochi.
Bateman, che dirige gli episodi assieme all'ex collega di Ozark Laura Linney e Justin Kurzel, riesce a rubare la scena al fascino sfacciato di Law, con una colonna sonora graffiante in cui spiccano gli Strokes, le urla e la concitazione e l'ansia data dalle scene d'azione, la delusione è per quel che poteva essere e non è.
In questa New York industriale e polverosa, dove i milioni sembrano briciole, dove l'amicizia non ha peso, non si ha simpatia per nessuno dei personaggi, che si muovono come mine impazzite combinando danni uno dopo l'altro, se ci fossimo concentrati davvero solo sull'ultima rapina, su quei flashback che iniziano ad aprire gli episodi a metà della miniserie, il mordente sarebbe stato più alto.
Verrebbe da ripensarlo montato e tagliato diverso, ma probabilmente Netflix ci tiene troppo a tenerci ancorati al suo minutaggio.
Smoke
Il Brutto
La storia vera di un investigatore antincendio che però è anche il più efferato dei piromani.
Una storia che mescola realtà e finzione, e che prende le distanze dalla cronaca portando l'azione dagli anni '80 all'oggi, con tutte le tecnologie a disposizione.
Taron Egerton è quel piromane e quel detective con smanie di protagonismo, tanto da credersi un fine scrittore impegnato a romanzare le sue doti investigative e di seduzione impegnato a cercare di risolvere due scie di incendi che stanno sconvolgendo Umberland.
Il punto sulla delusione per questa miniserie sta tutto qui: la vediamo raccontata dal punto di vista di Dave Gudsen, con Egerton che volutamente esagera nella recitazione, nel pathos, o il suo andare sopra le righe è parte di una recitazione che prenderei volentieri a sberle?
Non è facile capirlo perché Smoke cambia spesso toni, concentrandosi su Gudsen e sulla sua apparente vita perfetta che ogni tanto si incrina facendo scorgere la verità, ogni tanto su Freddy, piromane depresso e represso che non può che vendicare con il fuoco i torti subiti, e la Detective Michelle Calderone, chiamata dalla polizia a indagare sugli incendi che stanno devastando la città e che subito sospetta di Gudsen. Si approfondisce così il passato e il privato di questi tre personaggi, appesantendo il racconto e facendolo esplodere in momenti di strana follia canora, sessuale, scurrile che sia.
Se Jurnee Smollett ci prova a tenere testa ai modi esagerati di Egerton, le spalle Rafe Spall, John Leguizamo e Greg Kinnear sono tra le meno azzeccate a disposizione e in un finale che innalza i toni all'incredulità e all'assurdo con picchi ti trash impensabili in una lotta all'ultimo sangue in mezzo al fuoco, di questa serie fin troppo fumosa non so che farmene.
The Girlfriend
La Cattiva
Poteva essere un guilty pleasure con i fiocchi, ma forse sono solo io che mi sono stancata di queste serie guilty pleasure tutte uguali.
Con una famiglia ricca e bianca, con case uscite dalle riviste di arredamento, con gli abiti a prendere il posto delle sfumature di carattere, con i lavori impossibili, il denaro che compra ogni cosa, e la madre-padrona che vuole tenere il controllo della famiglia.
Vorrei dire che White Lotus ha fatto anche cose buone, ma non me ne vengono in mente.
Forse i meme.
La novità, comunque, è che in The Girlfriend la madre in questione non è interpretata da Nicole Kidman, ma da Robin Wright, la delusione sta in un'Olivia Cooke molto fuori dalla sua comfort zone e poco credibile nella sfacciata arrampicatrice sociale e un Laurie Davidson su cui nessuno sprecherebbe tempo per vendette e conquiste.
La miniserie si compone come da tradizione con la più classica presentazione travisata, proseguendo con la più classica gita fuori porta in una magione in Spagna, l'ancor più classica vendetta servita a una galleria d'arte, prendendo poi piede tra rivelazioni e segreti e manipolazioni varie con la bugia più assurda che si potesse pensare: una morte impossibile a cui far credere per sempre, e una verità che viene a galla con facilità.
Ci prova, la serie, a giocare con i due punti di vista di una madre e una fidanzata chiaramente disturbate, ma i picchi di trash sono così alti che non ho potuto che continuare ad alzare gli occhi al cielo fino alla fine, fino a quando un gatto trova un telefono sotto un mobile di una casa lustra fino a specchiarsi.
Quando ci stancheremo di questi guilty pleasure tutti uguali e che rubano spazio e tempo e soldi a produzioni probabilmente più meritevoli?
Io lo faccio da ora. Ridatemi Revenge, che almeno non ci credeva così tanto.
Voto: ☕½/5
Io, invece, The Girlfriend proprio apprezzato per la splendida Olivia. Tra i guilty pleasure più gustosi di quest'anno!
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