10 dicembre 2021

Dear Evan Hansen

Andiamo al Cinema

Forse si arriva ad un punto in cui si è così saturi di musical da non apprezzarli più. 
Con ancora le note di Hamilton in testa, con l'ultima stagione di Dear white people nel cuore, con Tick, Tick... Boom a sorprendere e Cabaret a conquistare dopo anni di attesa, ora tocca a Evan Hansen. 
Un musical giovane e moderno, a partite dal protagonista.


Che è un giovane, appunto, affetto da ansia e depressione, in cura da uno psicologo, una serie di pillole da prendere e un esercizio per cercare di stare meglio: scrivere lettere a se stesso. 
Lo fa anche il primo giorno di scuola, che non va ovviamente come sperava. 
Tanto che quella sua lettera se la intasca un bullo altrettanto problematico, che alla fine di quel giorno si suiciderà. 
Un dramma, sì, ma ancor di più per il fatto che quella lettera che Evan aveva scritto a se stesso, viene presa come il messaggio di addio di Connor, con i genitori disperati a chiedere di più, a chiedere un briciolo di speranza all'unico amico che Connor sembrava avere. 
E Evan, questa speranza gliela dà.


Inventandosi un'amicizia, un passato, delle mail e dei tentativi di farlo stare bene che non fanno star meglio lui, però, anche se in quella famiglia presente e attenta si ritrova ora coinvolto, partecipe. 
Ne seguono ovviamente sensi di colpa e storie d'amore, scontri con una madre sempre impegnata a lavoro e un ovvio momento in cui la verità verrà a galla. 
Il tutto, condito con canzoni molto pop, che fanno quello che i musical di solito fanno: danno voce ai pensieri, ai sentimenti, dei protagonisti in modo per molti fastidioso.
In questo caso, pure per me.


Dear Evan Hansen sembra uscito da una puntata di Glee, con tanto di lezioncina morale e momenti da occhi lucidi forzati.
Con tentativi di rendere corale una storia così particolare, senza però approfondire il resto dei personaggi, che appaiono come macchiette, e senza riuscire a rendere accettabili azioni moralmente difficile da giustificare.
E pensare che alla regia ci sia lo Stephen Chbosky di Noi siamo infinito, fa pensare che si sia dato ai facile film buonisti in stile Wonder.
Non che il messaggio non sia giusto, non che i tentativi di far sentire meno sole, meno diverse, meno capite le persone depresse siano fatti male, ma la prevedibilità della trama e la scontatezza delle canzoni che si ripetono per 137 minuti, sfiancano.


Non aiuta un cast fuori fuoco, in cui nemmeno Amy Adams e Julianne Moore riescono a brillare, dove il protagonista Ben Platt (tutt'altro che adolescente) fa onestamente poca simpatia e a risollevare le sorti ci pensa solo la brava e sacrificata Kaitlyn Dever.
L'abbuffata musical del mese finisce con un boccone amaro, anche se non era certo l'indigestione che cercavo… 

Voto: ☕☕/5

4 commenti:

  1. A me, invece, è piaciuto moltissimo e mi sono anche commosso.
    Da adolescente, forse, sarebbe diventato tipo il mio film preferito.

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    1. Questi musical più poi e adolescenziali non fanno per me, sarà perché sono di una generazione prima di Glee?!

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  2. Il 28enne Ben Platt (che di anni ne dimostra pure parecchi di più) come teenager è più inverosimile di James Van Der Beek ai tempi di Dawson's Creek. XD

    Ancora non ho trovato il coraggio di guardarlo, ma chissà, guardando oltre il protagonista potrebbe anche piacermi...

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    1. Ammetto che il protagonista poco credibile ha pesato tanto sulla mia visione, con la tua allergia ai musical però questo potrebbe essere troppo per te...

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