3 settembre 2022

Venezia 79 - Master Gardener

Uno si chiede come faccia Paul Schrader a fare un film all'anno. 
La risposta, guardando, Master Gardener sembra piuttosto triste e semplice: copiando se stesso. 
Prendi The Card Counter dello scorso anno, cambia la passione per il gioco con quella del giardinaggio, cambia il passato violento a Guantanamo con i sensi di colpa per l'appartenenza a gruppi di estrema destra e neonazisti, cambia la donna che ti aiuta a cambiare facendoti da sponsor con una donna per cui curi il giardino (in tutti i sensi possibili), e cambia il nuovo pupillo dal passato altrettanto travagliato con una nipote di quella signora di cui il protagonista finisce per innamorarsi. 
E Master Gardener è servito. 



Un film che punta sull'antipatia di Joel Edgerton che nello spiegare tecniche, storia e particolarità del giardinaggio fa chiare metafore di vita, tra semina e pazienza. 
E per uno che si deve redimere, quale immagine è più forte dei suoi tatuaggi di svastiche e teschi che abbracciano la bellissima Quintessa Swindell, nera? 
Mentre Sigourney Weaver gioca a ribasso come una fotografia spenta incapace di rendere la bellezza della natura, ben distante da quella fatta di luci e ombre a Las Vegas, la particolarità la fa come sempre una sceneggiatura che si lascia andare a stangate e frecciatine, oltre alle già citate metafore.
 
E a proposito di queste, anche se il calibro è diverso, viene da pensare ad un paragone tra Schrader con l'instancabile Woody Allen: bulimici è ripetitivi, non tutti i loro film riescono allo stesso modo, ma non è mai tempo perso cercarli.

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