4 settembre 2018

Venezia 75 - At Eternity's Gate

Il mio amore per Van Gogh lo avevo già dichiarato ai tempi dell'uscita di Loving Vincent, trovandomi per l'ennesima volta in lacrime di fronte alla sua storia.
Così mi sono trovata molto combattuta di fronte a un nuovo progetto che sempre degli ultimi giorni di vita di Vincent parla, fondamentalmente perché non ne sentivo il bisogno.
Non ne sento nemmeno adesso, che il film di Julian Schnabel l'ho visto, perché poco aggiunge di nuovo, molto appesantisce.



Certo, aggiunge bellezza, e gioca facile -anche se difficile, c'è da ammetterlo- nel ricostruire i quadri dell'artista dal vero, nel trovare attori-copia, nel dipingere su grande schermo la natura filtrata dagli occhi del pittore.
Ma, ancora una volta, tutto questo era già stato fatto.
E dispiace, perché Willem Dafoe è un Vincent impressionante e convincente dal primo all'ultimo minuto, dispiace per alcuni ottimi dialoghi -in particolare la confessione con il prete, interpretato da Madds Mikkelsen- ma non per la struttura che decide di avere il film, per ripetizioni che non trovano spiegazione, per calcature di mano -in soggettiva- che fanno perdere di genuinità il progetto.
Vero è che di semplice biopic non si tratta (anche perché i tempi si accelerano troppo), che si cerca di farne un trattato sull'arte e sul ruolo dell'artista -confrontando Van Gogh con l'amico Gauguin-, sulla chiamata che riceve e il suo rapporto con la fama, il successo, ma anche qui ci si perde, in stralci di lettera adattati, in pesantezze sottolineate poi da un'invadente colonna sonora, poetica sì, ma assordante.
Probabilmente se non avessi visto Loving Vincent tutto questo non lo scriverei, applaudendo invece la messa in scena, la fotografia fedelissima. Il fatto, però, è che quando si toccano certi vertici, la storia non si può ripetere.

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