17 marzo 2023

Empire of Light

Andiamo al Cinema

Il cinema che racconta il cinema è ormai un genere a sé.
Un genere che negli ultimi anni è diventato quasi un passo obbligato per i grandi registi che, probabilmente bloccati dalla pandemia, si sono ritrovati a chiedersi cos'è, per loro, il cinema.
Una riflessione e una premessa che mi ero già ritrovata a fare per Fabelmans, dove Spielberg raccontava la sua vita, il suo approccio, il suo amore e la sua ossessione per la settima arte.
Dopo SorrentinoPaul Thomas AndersonLinklaterBranagh e pure Iñárritu, ora tocca a Sam Mendes.
Che però si tira fuori dalla scena, non parla di sé, anzi, per la prima volta scrive la sceneggiatura e rende protagonista una donna.
Parla però della nostalgia di certi cinema intesi come luoghi, teatri dove rifugiarsi, dove respirare, dove vivere.
E dove lavora Hilary.


Lei, che serve dolciumi, lei che apre e chiude le porte, lei che è amante occasionale del suo capo, lei che si fa scivolare la vita addosso.
Ma tutto cambia quando Stephen viene assunto.
Giovane, bello, affascinante. E nero.
Cosa importante se siamo nell'Inghilterra degli anni '80, dove una nuova ondata di razzismo si sta alzando e le minacce, le proteste, gli insulti rivolti a chi come Stephen è un inglese di seconda generazione esplodono.
Lui fa da maschera, lui al cinema si interessa entrando nel mondo dorato della sala proiezione, lui si interessa a Hilary, anche, affascinato da questa donna che poco a poco riporta a vivere.
Fino a un eccesso di vita.


Si parla di malattia mentale, e si parla di razzismo.
Si parla di cinema, ma si parla di lavoro.
Si parla di amore, fragile, di amicizia, forte.
Si parla forse di troppe cose in un film che non trova il giusto equilibrio nel racconto, ma che sa regalare singole scene che lo innalzano.
Il fascino sta tutto in quella città costiera che è un po' Brighton un po' Margate, in quel mare d'inverno che rende un piccolo cinema (che così piccolo non è) dal sapore retrò, una di case che i cinefili vorrebbero frequentare, dove si respira il calore, dove è bello andare anche in una piovosa domenica mattina.
Dov'è finita quell'eleganza, rispetto alle chiassose multisala di oggi?
Dove sono nascosti questi teatri per le immagini in movimento?


La bellezza sta tutta nella fotografia di Roger Deakins, che toglie il fiato in più di un'occasione, che fa sobbalzare il cuore nella sua perfezione, che rende magico un film che spesso inciampa.
La bravura sta tutta in Olivia Colman, ormai una garanzia, che in un ruolo non facile che le calza a pennello, regala un'altra grande prova di attrice.
Ma l'equilibrio Sam Mendes non lo sa trovare, oscillando tra Stephen e Hilary, tra il dentro e il fuori quel cinema dove il personaggio di Toby Jones acquista un peso che sembra quasi improvviso, con la sala di cui scorgiamo qualche titolo, fino a che non ci entriamo, e come Hilary le lacrime non possono che scendere.


Poteva fermarsi qui, in questa rinascita oltre il giardino.
Ma vuole raccontare troppo Mendes, forse vuole pure una quota politica non così necessaria per rendere grande una storia come questa.
Fatta di anime ferite, di storie che possono salvare.
Che siano poesie, o film.
Poteva essere il suo Cinema Paradiso, è invece un Cinema Purgatorio dove si sta bene, non ci si lamenta, pur consapevoli che di meglio poteva esserci.

Voto: ☕☕/5

6 commenti:

  1. Ben detto: "Si parla forse di troppe cose". Alla fine non basta una ingombrante Colman, incompiuta anche lei, altalenante nella sua schizofrenia come anche tutta la pellicola. L’omaggio al cinema ne esce parziale, smozzicato, quasi una scusa a far da collante a singoli siparietti. La tenerezza del cinema, della sala del cinema, sottaciuta e quasi maltrattata fino alla fine, nascondendone maldestramente la magia per cucire un finale piacione ma poco sensibile. L’emozione smossa solo quando ho intravisto la foto di Tom Courtenay tra le decine di altre appese nella saletta proiezioni, il che è tutto dire.

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    1. Mi è sembrato che mancasse la giusta messa a fuoco, tra chi era davvero il protagonista, il ruolo del cinema di per sé, visto che potevano essere due colleghi ovunque.
      Per fortuna, la magia di quella sala e della fotografia hanno reso la visione più magica.

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  2. Io so solo che dovrebbe esserci un Empire in ogni città. Ma forse è la magia di Deakins che mi fa parlare. Per il resto, direi che la pensiamo uguale!

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    1. Magari ci fosse! Anche se qualche sala retrò qua e là esiste e resiste. Altro che la freddezza dei multisala.

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  3. Un film piccolo, che sa farsi volere bene. L'ambientazione aiuta assai. :)

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    1. Eh, la voglia di trasferirsi nella costa inglese... ma solo se c'è un Empire in cui rifugiarsi nei giorni di pioggia.

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