21 giugno 2019

Beautiful Boy

Andiamo al Cinema

Un figlio che, pur avendo tutto, sceglie la strada della droga.
Un padre che quel figlio non lo riconosce più e cerca in tutti i modi di aiutarlo, mettendo da parte il resto della famiglia, addossando colpe a se stesso e alla ex moglie, arrivando a gettare la spugna.
Un lungo percorso che prevede cadute e risalite, drammi vari, ricoveri, sponsor e centri di ascolto.
Felix Van Groeningen si trasferisce in America e ne guadagna in pesantezza.
Perché se già il tema di un figlio tossicodipendente leggero non è, raccontato come decide di raccontarcelo rende la visione ancora più difficile.



Il racconto è infatti non lineare, fatto di ricordi, di sensazioni, che fanno andare avanti e indietro nel tempo.
Un padre che ripensa al figlio perfetto che credeva di avere, un figlio che colleziona estasi.
Il loro rapporto dovrebbe essere al centro del tutto, ma si continua a non capire, a pensare che manchino pezzi a spiegare per bene il loro percorso, la difficoltà di vivere sotto lo stesso tetto.
Poco importa che la storia sia vera, che sia stata raccontata dal padre e dal figlio in rispettive biografie.
Ci provano Steve Carell e Timothée Chalamet a dargli vita, e si vede che si impegnano.
E anche questo è un problema.
La sensazione è sempre quella che ritengano il loro ruolo perfetto per un premio, ed eccedono, esagerano. Il tanto venerato Chalamet poi -sarà il mio sguardo critico nei confronti di una sua sovraesposizione- in particolare: con mani, gesti, espressioni che anche se vanno a segno, sempre poco naturali sembrano.


Qui quella che dovrebbe esserci fin da subito -l'emozione- non arriva.
Non a me, che in 120 minuti finisco spesso per borbottare, per rischiare di non farcela a star dietro all'ennesima dose che Nic si fa, arrivando davvero a sperare come il più frustato dei genitori, che possa essere fatale. Se l'obiettivo era quello di far capire quanto la tossicodipendenza influisca non solo nella vita di chi di droghe fa uso ma anche della famiglia, degli amici che gli gravitano attorno, Felix ha centrato l'obiettivo.
Il resto degli aspetti tecnici fanno pensare alla patinatura perfetta per strizzare l'occhiolino all'Academy, con tanto di case da rubare (e rubate infatti a Big Little Lies), artisticità non influente, musiche che si fanno dominanti ma onestamente non così significative. Neanche quando di mezzo ci sono i Sigur Rós.
A voler poi essere ironici, sembra che per il suo sbarco in America Felix Van Groeningen abbia voluto prendersi gioco di due importanti serie TV come The Wire e The Office, ipotizzando un futuro davvero poco roseo per Michael e Holly.
Vediamola così, cercando di dimenticare i troppi finali, i troppi drammi di un film che voleva essere necessario e si rivela invece pesantemente eccessivo.

Voto: ☕☕/5


9 commenti:

  1. L'ho mal sopportato anch'io, ripetitivo e frammentario.
    Loro, soprattutto Carrell in vesti drammatiche, senz'altro bravissimi: il "duetto" alla tavola calda è da Actors Studio. Il resto, meh.

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    1. Sai che proprio in quel duetto ho iniziato a notare come tutta la recitazione fosse soppesata a tavolino? Mancava di naturalezza, come fossero davvero davanti a un professore a mostrare il loro talento, che c'è ovvio. Ma come per il resto del film, si sente la mano del "come sono bravo" a muovere il tutto.

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  2. Chalamet da prendere a schiaffi, come fai a prendere due biografie e realizzare una roba così superficiale? Mille volte meglio Trainspotting, perlomeno l'ambiente in cui si perdevano Renton e soci era più verosimile.

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    1. Io il fascino del giovanissimo Chalamet non riuscirò mai a capirlo, sarà anche bravo ma qui è una continua esagerazione che unita ad un personaggio insopportabile bene non fa.
      Trainspotting su un altro pianeta, decisamente.

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  3. Chalamet è stato un po' troppo sopravvalutato, anche perché prima di Chiamami etc aveva già partecipato ad alcuni film, è proprio bravissimo non era...

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    1. Le fan lo difenderanno a spada tratta in ogni ruolo, qui il ragazzo sembra voler dimostrare ancora e ancora di essere bravissimo, ma ne perde in naturalezza. Ne guadagna invece in irritazione.

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  4. Uno dei film più fastidiosi dell'anno. Vorrebbe affrontare il tema della tossicodipendenza in modo originale, e alla fine, pur essendo tratto da 2 libri, fondamentalmente mostra un unico punto di vista: quello paterno e paternalistico.

    Recitazione eccessiva, ma il mio problema non è certo con Timothée Chalamet, quanto con Steve Carell, attore inspiegabilmente sopravvalutato.

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    1. Oh, vedi che anche qui riusciamo ad essere d'accordo?!
      Una delle visioni più faticose dell'anno, aggiungerei, ad ogni ricaduta una mia imprecazione. Non si approfondisce, non si mostra una soluzione effettiva.

      Carell non mi dispiace, riscoprendolo di questi tempi in versione comica con The Office lo apprezzo ancora di più nei drammi. Qui sono convinta che il peso ce l'abbia il montaggio, che lo mostra spesso fuori fuoco.

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  5. All'ennesima ricaduta ho controllato l'ora scoprendo che mancavano ancora 45 minuti e ti lascio immaginare il mio umore. Tutto è davvero troppo forzato, e la vicenda la si poteva raccontare in modo migliore, anche solo puntando più sul figlio che sul padre. O spiegando meglio il loro rapporto, che resta invece in superficie.

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